NAPOLI QUIR PUNK – benefit cassa antirep transfemminista – 14 e 15 Gennaio 2023

…PROGRAMMA IN AGGIORNAMENTO…a fondo pagina, alcune info tecniche sui vari laboratori…

SABATO 14 GENNAIO

Aperto a tuttx, tranne che a fasci, sbirri e loro amici, sessisti e omotransfobici

Dalle ORE 15 per tutta la giornata, banchetti di autoproduzioni:
– Hormony, di fanze, corpi e laboratori non normati
Aanarcho herbane kollektiv, anarcoqueer erboristeria e filosofia D.I.Y.
Sante Skatenate, disegna il tuo harness
postazione Parruqueeria degenere, largo alle diavole per capello – tagli punq per tuttx –
serigrafia
distro queer e transfemministe contro patriarcato, carcere e repressione
Guerriglia Transpoetica & Friends
mostra Travma, collective memory of punk in Turkey
– mostra sulla storia delle carceri specali in Italia
Sempre dalle ORE 15
– BAW – BRIGHT ANIMAL WORK, laboratorio di trapezio
– laboratorio di autotattooing
Per tutta la giornata sarà presente una postazione radio fissa di Malormone feat Banda Mutanda per sottofondi striduli e interviste che non t’aspetti e un bancone del bar
ORE 17
Chiacchiera a partire dalla presentazione della fanzine Sisterrude, d.i.y. zine per la visibilità di donne, lesbiche, trans*, persone non binarie, queers e chiunque non incarni la cis-eteronormatività
ORE 20
Cena benefit vegan
ORE 21.30
Spettacolo “Il punk spiegato a mia nonna” e canzonette squarciagole di punkastorie/Filosottile
ORE 22.30
Concerto di Resille – parasite queer-punk, Marseille –

DOMENICA 15 GENNAIO

!! I SEGUENTI LABORATORI SONO SEPARATI, CIOÈ APERTI A TUTTX TRANNE A MASCHI ETERO-CIS !!
DALLE ORE 11:
laboratorio di cianotipia (in caso di sole)
– JINGLE JUNGLE, laboratorio a cura di Malormone feat Banda mutanda
ORE 14
pranzo benefit vegan
ORE 16.30
chiacchiera per un’iniziativa solidale con il compagno anarchico Alfredo, in sciopero della fame da ormai oltre 80 giorni contro il regime di 41-bis ed ergastolo, rinchiuso al carcere di Bancali (Sassari) dal 5 maggio 2022 in regime di 41bis
ORE 21
birrette, socialità e proiezione della domenica del documentario Queercore: how to punk a revolution (lingua inglese con sottotitoli in italiano)

DI SEGUITO ALCUNE INFO SUI VARI LABORATORI

Jingle Jungle
A cura di Malormone feat Banda Mutanda
14/01/23
2h elastiche
Strumenti utilizzati:
Audacity
Cosa devono portare lu partecipantx:
– PC + cuffie
– Audacity installato sul pc (download gratuito)
Per chi ce l’ha: Cavo per collegare i pc a impianto (output minijack)
Argomenti
Creiamo insieme degli audio pensati come Spot radiofonici/jingle di circa uno-due minuti, pensato per invitare ad un evento o veicolare un breve messaggio pubblicitario.
Rudimenti sul mixing e montaggio di diverse sorgenti sonore. Presa microfonica base, pulizia minima del suono in ambiente non insonorizzato.
Effetistica di distorsione della voce.
Freesound.org e rumoristica: come integrarla.
Montaggio con musica e canzoni
Per ogni partecipante viene caldamente consigliato di portare il suo pc e cuffie, altrimenti si condividono le postazioni!
Scaletta
Introduzione: chi siamo e cos’è bandamutanda (2’)
Scrittura: consigli, stili, tecniche, tempi (10’)
Parlare al microfono: tecniche di allenamento bocca, ritmi (5’)
Musica: selectas mirate (2’)
Suoni: arricchire il jingle con effetti sonori (5’)
Approcciarsi ad Audacity e ai suoi strumenti (30’)
Registrazione da mic (30’)
Editing audio: mixaggio tracce, equalizzazione, effetti (40’)
 

L’epifania non tutte le feste porta via… Il 14 e 15 gennaio al Giardino Liberato di Materdei (Napoli) si terrà una giorno e mezzo di D.I.Y. frociolellatransenonbinaria e spettacoli e concerti punk contro patriarcato, Stato, galere, frontiere e repressione. Ci saranno: serigrafie, stampe, fanzine, scarabocchi, intagli&tagli, esplosioni creative, fantasie appuntite, matite ben affilate… Per noi il punk è un modo di stare al mondo e il queer è lotta e liberazione, non marchi commerciali, estetica social o trend del momento. Queer per noi è resistenza quotidiana in un mondo etero-cis-patriarcale che ci soffoca, queer è crescere come erbe infestanti sull’asfalto ripulito delle città, creare reticolati di affetti diffusi e desideri contro-norma, queer è dare fastidio come il fischio di un microfono, come un urlo rauco che taglia i timpani. Spesso ci troviamo a dover sgomitare per riuscire a stare negli spazi che attraversiamo, così come sui palchi, nelle palestre, nei festival di autoproduzioni che in questi spazi si organizzano. È per questo che abbiamo deciso di organizzare un festival per noi e per chi condivide questo bisogno, un festivalino che sia queer e antisessista nei contenuti e nell’atmosfera. Alcuni eventi, come i laboratori e gli incontri, saranno separati (no maschi cis-et) perché abbiamo bisogno di uno spazio in cui conoscerci e riconoscerci lontano dallo sguardo patriarcale e riappropriarci dei saperi di cui la narrazione binaria dei ruoli di genere ci ha espropriatx. L’esposizione e i concerti, invece, saranno aperti a tuttx, tranne ovviamente machi, fasci e sbirri. il festival sarà benefit cassa antirep transfemminista, che va a supportare compagnx donne, lesbiche, trans* colpitx dalla repressione per essersi autodifesx dalla violenza di Stato e patriarcato. 🔥

 
Pubblicato in Eventi | Commenti disabilitati su NAPOLI QUIR PUNK – benefit cassa antirep transfemminista – 14 e 15 Gennaio 2023

Sagra della Patata Domenica 6 Novembre

Pubblicato in Eventi | Commenti disabilitati su Sagra della Patata Domenica 6 Novembre

QUEER HORROR MONSTER SHOW – Residenza artistica @laVampa

LA VAMPA – Casa Transfemminista Occupata:
QUEER HORROR MONSTER SHOW
– dal 24 al 29 agosto –
@laVampa, Vico calce 28, Napoli
– residenza per persone queer, lesbiche e trans*, no maschi cis –

Ai corpi queer, non conformi, dissidenti e mostruosi: creiamo insieme uno spettacolo pop, mitico, osceno.

Prendiamoci un tempo per praticare collettivamente le arti che il mondo capitalista e patriarcale non ci lascia esprimere, per scambiarci esperienze e portare fuori un messaggio politico queer forte, che venga da noi, finalmente voci protagonistə della nostra narrazione.

Chiediamo a chi vuole partecipare di portare con sé all’arrivo un piccolo pezzo di mostruosità: una storia, un’idea, un’esperienza personale, una danza, una canzone, un testo.

Se non hai mai creato qualcosa del genere non temere, puoi portare anche stralci di libri o poesie o canzoni attinenti al tema della residenza. Non è necessario essere “artistə” ma sì voler comunicare e condividere collettivamente delle pratiche.

Al nostro arrivo ci sarà un momento in cui condivideremo questi piccoli pezzi di mostruosità: idealmente, questi saranno le basi del nostro queer horror monster show . Al termine della condivisione seguirà un’assemblea per la costruzione collettiva dei restanti giorni della residenza (vedi programma poco più sotto).

Scrivi a queershow@anche.no per info e per confermare la tua partecipazione.
C’è la possibilità di dormire insieme , ti chiediamo di farcelo sapere con qualche giorno di anticipo. La casa è vegana, comunicaci le tue intolleranze. Tutto questo ci permetterà di snellire l’organizzazione.

La residenza è ospitata da La Vampa, una casa occupata, transfemminista, antiautoritaria e vegana. Nessuna pietà per sbirri, fasci, machi e loro simpatizzantx.
La residenza rispetta le medesime scelte politiche dello spazio.

Avvisiamo che la casa non è di facile attraversabilitá a causa della presenza di barriere architettoniche, ma per necessità specifiche in tal senso, scriveteci e faremo il possibile.

Gli spazi all’aperto in cui poter stare distanti sono ridotti, lo spazio ristretto per una quantità considerevole di persone rende difficile la riservatezza. Nonostante questo faremo del nostro meglio per far sentire ciascunx a proprio agio.
FUOCO A CARCERE E FRONTIERE

https://lavampa.noblogs.org/
https://t.me/lavampanapolivicocalce28

PROGRAMMA:

MERCOLEDÌ 24
-arrivi e sistemazione entro le 12:00
-pranzo collettivo
– 16:00-20:00: condivisione dei piccoli pezzi di mostruosità portati in dono alla residenza;
– 20:00-21:00: assemblea collettiva per la costruzione della residenza e suddivisione in piccoli gruppi di lavoro.

GIOVEDÌ 25
– 9.30-12.30: riscaldamento fisico e improvvisazione tutte insieme
-pranzo collettivo
-16:00-20:00: lavoro in gruppi
-20:00-21:00: restituzione collettiva e organizzazione giorno seguente
-21:00: cena e presa a bene

VENERDÌ 26
– 9.30-12.30: scenografia, costumi, montaggio scenico tutte insieme
-pranzo collettivo
-16:00-20:00:  scenografia, costumi, montaggio scenico tuttə insieme
-20:00-21:00: restituzione collettiva e organizzazione giorno seguente
-21:00: cena e presa a bene

SABATO 27
– 9.30-12.30: rifinitura lavoro in gruppi
-pranzo collettivo
-16:00-20:00: assemblaggio materiali e scene tutte insieme
-20:00-21:00: restituzione collettiva e organizzazione giorno seguente
-21:00: cena e presa a bene

DOMENICA 28
– prove generali
Restituzione aperta a tuttə,
no maschi cishet ore 21.00

LUNEDÌ 29
pulizia spazi, saluti e ripartenze <3

Pubblicato in Eventi | Commenti disabilitati su QUEER HORROR MONSTER SHOW – Residenza artistica @laVampa

DOPO DUE ANNI DALLE RIVOLTE IN CARCERE

Giorni fa si è tenuta l’udienza preliminare per il processo sulla “mattanza della settimana santa”, la rappresaglia dello Stato nei confronti dei detenuti avvenuta il 6 aprile nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Sono 109 gli imputati tra agenti, ufficiali, funzionari e personale sanitario del carcere per reati tra cui tortura, omicidio colposo, perquisizione personale arbitraria, lesioni; sono circa un centinaio le parti civili costituite. Intanto, a dicembre, la Procura di SMCV aveva chiesto l’archiviazione per i 14 detenuti che la polizia penitenziaria indicò come responsabili della rivolta. Eppure, se fino a qui a qualcunx potrebbe pure sembrare che lo Stato stia facendo giustizia, benchè sempre nei modi suoi, dobbiamo invece guardare al quadro d’insieme.

A SMCV lo Stato ha interpretato la messinscenza del processo esemplare alle cosiddette “mele marce” (che comunque poche non sono ! ). Non fosse che contemporaneamente, però, ha messo a tacere la più grande strage di Stato nelle carceri dal dopoguerra, nonché la morte, avvenuta tra le mura di quello stesso carcere, di Hakine Lamine. Quest’ultima seguì proprio alle torture delle del 6 aprile: lui era tra i 14 detenuti detenuti indagati per la rivolta ed era stato messo in cella di isolamento a scopi punitivi, la stessa nella quale morirà un mese dopo. Il Tribunale del riesame ha appena riconfermato che la sua morte non fu cagionata dalle torture delle guardie imputate nel maxi-processo, riavvalorando così la versione ufficiale del “suicidio”. In merito alla strage del marzo 2020 morirono in tutto 14 persone detenute durante le rivolte, di cui 9 nel carcere di Modena e durante i trasferimenti da esso. A giugno 2021, tutte le indagini per queste morti vengono archiviate, sulla base di sommarie autopsie che decretano la causa di tutte le morti nell’overdose di metadone. L’unica inchiesta a restare ancora aperta è quella per la morte di Sasà Piscitelli nel carcere di Ascoli Piceno.

Solo da pochi giorni, è stata resa nota un’altra inchiesta della Procura di Modena, avviata solo in seguito all’esposto e alle testimonianze dirette di alcuni detenuti, nella quale sono indagati diversi agenti penitenziari, per le torture e lesioni inferte in quelle giornate. Mentre sul fronte opposto, diverse decine di persone che erano detenute in quel carcere sono indagate per i reati, tra gli altri, di devastazione e saccheggio.

Ci sembra molto chiaro che per lo Stato, il processo di SMCV e in generale le inchieste con cui è disposto a “sacrificare” alcuni dei suoi uomini (le solite “mele marce”, appunto) rappresentano solo la contropartita alla veloce archiviazione di una strage di Stato da parte di procure e tribunali, avvenuta nella più totale omertà istituzionale e alternata a una gogna mediatica che spesso dipinge i detenuti che muoiono “suicidati” in una cella come “tossici” all’assalto dell’infermeria o “schizofrenici”. Migliaia di persone detenute furono torturate in quei giorni e in tutt’Italia da ogni tipo di divisa possibile (penitenziaria, polizia, carabinieri, Gom, reparti speciali, digos…) e da un personale sanitario complice con chi ha represso e punito quelle rivolte, la più umana e giusta reazione immaginabile di chi si trova recluso in una gabbia. È per questo che diverse centinaia di quelle persone detenute vengono oggi indagate e imputate davanti ai tribunali di ogni parte d’Italia per reati che prevedono pene altissime e che, sommati alla propria condizione detentiva, possono sancire, in caso di eventuale condanna, un “fine pena mai”.

A due anni dall’inizio dell’emergenza pandemica e dallo scoppiare di quelle rivolte, la situazione nelle galere è ritornata (o rimasta) la stessa, se non addirittura deteriorata: la sanità nelle carceri va peggiorando e in molte di esse diminuisce la presenza dei medici negli istituti, mentre aumentano le assunzioni per le guardie e le misure per la sorveglianza, nessuna millantata riforma della giustizia per lo svuotamento delle carceri, nessun impulso alle misure alternative al carcere, il sovraffollamento aumenta (solo a Poggioreale, ci sono 2.229 persone detenute su una capienza di 1.571), continuano a mancare i dispositivi di prevenzione del contagio (es. mascherine) per i detenuti che li richiedano, il cibo è sempre scadente, continuano gli abusi nel somministrare psicofarmaci, le condizioni igienico-sanitarie restano pessime, aumentano progetti di sfruttamento del lavoro delle persone detenute. Per coloro che scelgono di non vaccinarsi si allunga il periodo di isolamento dal resto della sezione, è precluso (almeno in certe carceri) di fare il lavorante e vi sono restrizioni ai colloqui visivi, per i quali oltretutto i familiari esterni sono tenuti oggi a esibire il Green pass (dovendosi quindi pagare tutte le volte un tampone se non vaccinati). Ciononostante, il plexiglass per i colloqui visivi è rimasto, il che costituisce una restrizione importante nella vita di chi è detenutx. Chi, invece, vorrebbe completare le dosi di vaccinazione subisce ritardi.

Laddove c’è uno Stato e le sue gabbie, non potrà mai esserci libertà.

CONTRO LO STATO CHE TORTURA E UCCIDE

SOLIDALI CON CHI SI RIBELLA

Pubblicato in Comunicati | Commenti disabilitati su DOPO DUE ANNI DALLE RIVOLTE IN CARCERE

SU GREEN PASS E FRONTIERE

Nei due testi che hanno preceduto la redazione di questo, abbiamo provato a mettere in discussione l’esistenza e l’imposizione del green pass come misura coercitiva e di disciplinamento, che niente ha a che vedere con la tutela della salute delle persone. Per moltx questo aspetto autoritario della gestione pandemica è diventato tangibile in modo più incalzante a partire dall’introduzione della certificazione verde. Tuttavia, l’uso arbitrario di presunte misure di salvaguardia della comunità per ostacolare il movimento delle persone è una realtà che viene vissuta sulla propria pelle da migliaia di persone senza documenti da ben prima dell’arrivo del covid-19. In generale, la nascita dei dispositivi di controllo della popolazione e dei suoi spostamenti (frontiere, passaporti, leggi sull’immigrazione) si lega alla necessità di creare gerarchie al suo interno tra sfruttatx e sfruttatori. Ci sembra corretto informare che questo testo è scritto a partire dal nostro posizionamento come donne, lesbiche e persone non binarie bianche, antiautoritarie e dotate di documenti e passaporto italiano. In questo contributo cercheremo di tracciare una genealogia della gestione delle frontiere durante la pandemia, provando a ripercorrere le misure che fin dal marzo 2020 sono state prese per difendere i confini degli Stati europei. Passeremo poi a vedere come concretamente sta funzionando il green pass per le persone migranti in alcuni paesi d’Europa, di pari passo con un cambiamento delle politiche migratorie e detentive degli ultimi due anni all’interno della fortezza Europa. In conclusione, ci piacerebbe condividere alcuni spunti di riflessione per la lotta in questa particolare congiuntura. Proteggere il corpo della nazione Fin dal principio della diffusione dei contagi da covid-19, la reazione degli stati europei e su scala globale è stata presentata con i termini di una guerra. Il virus è il nemico da debellare, e per farlo è necessario controllare le frontiere e, all’occasione, chiuderle. A Marzo 2020 questo imperativo si è tradotto nella sospensione del protocollo di Schengen, con un provvedimento applicato il 16 marzo 2020 dall’esplicativo titolo “COVID-19 Guidelines for border management measures to protect health and ensure the availability of goods and essential services”. I viaggi “non essenziali” vengono sospesi, ogni spostamento tracciato tramite autocertificazione, ogni movimento registrato in modo ancora più capillare di prima. Viene ribadito più volte che il trasporto di merci rimane essenziale e deve essere garantito. I beni di consumo viaggiano ancora più veloci grazie al supporto del capitalismo delle piattaforme (ironia della sorte: spesso a lavorare nella logistica sono proprio le persone sottoposte al ricatto dei documenti). La sospensione di Schengen prosegue fino all’estate, quando i vertici dell’UE cominciano a invocare nuovamente l’apertura delle frontiere, in primis per i lavoratori frontalieri. La libera circolazione è necessaria allo sforzo produttivo, che serve al capitale per riassestarsi dopo il colpo iniziale della pandemia. Rilanciare i consumi, far circolare ancora più velocemente le merci e, questa volta, le persone. Vengono applicate misure disomogenee nella riapertura delle frontiere, finalizzate alla circolazione di persone solo per fini turistici, per far riprendere l’industria legata al consumo dei territori come merci gettabili. Rimane un regime di controllo che stabilisce una serie di condizioni per l’attraversamento dei confini, che garantiscono la tracciabilità degli individui: tamponi, passengers location form, altri documenti di questo tipo che registrano l’ingresso all’interno del paese e assegnano a ogni individuo un indirizzo a cui essere reperibile. Per le persone migranti il primo lockdown è caratterizzato dall’eccezionalità nell’eccezionalità. I flussi sono drasticamente ridotti per via della chiusura dei confini, ma il numero di persone bloccate in dei punti permeabili della frontiera europea rimane considerevole. Con l’arresto improvviso della macchina delle espulsioni, si pone il problema di trovare dei luoghi dove “stockare” tutti questi corpi indesiderati. I centri di espulsione si rivelano per quello che sono da sempre, delle prigioni in cui la gente viene rinchiusa sotto pretesto di non avere il giusto pezzo di carta. I CPR diventano allora, come le carceri, dei focolai di contagi, dove la diffusione del virus viene volutamente non gestita, a significare il valore che la vita delle persone rinchiuse ha per chi governa. Come nelle carceri, numerosi sono i gesti di rivolta, collettivi, con proteste e incendi, persone sui tetti, e individuali, da scioperi della fame ad automutilazioni. Contestualmente, i centri di accoglienza assomigliano sempre più a luoghi di prigionia, dove alle persone viene impedito di andare a lavorare anche quando sono negative al virus, cosa che porta la tensione a salire fino allo scoppio di rivolte (1). Nel frattempo, per aumentare la sua capacità di reclusione, lo Stato italiano introduce un nuovo dispositivo di detenzione amministrativa, le navi quarantena. Con la dichiarazione del 7 aprile 2020 si stabilisce che i porti italiani non possono essere considerati “place of safety” per far sbarcare le persone che arrivano dal Mediterraneo. Di conseguenza, vengono utilizzate delle navi da crociera, affittate a diverse migliaia di euro al giorno a compagnie private, dove le persone migranti devono svolgere un periodo di quarantena. In uno spazio chiuso come quello di una nave, i contagi salgono in breve, e le persone si ritrovano recluse per diverse settimane o mesi. Nel frattempo, le attività di selezione ed espulsione che vengono svolte sulla terra ferma negli hotspot vengono delocalizzate sulle navi, e iniziano le deportazioni di alcune persone, in particolare quelle provenienti dalla Tunisia, la cui espulsione è semplificata dall’esistenza di accordi bilaterali Italia-Tunisia (2). Nel tempo, questa misura diventa da straordinaria sempre più perenne. Nell’autunno 2020, il governo italiano firma un contratto per diversi milioni di euro con la compagnia Grandi Navi Veloci – oggi raggiunta anche da Moby – e la Croce Rossa per l’affitto e la gestione delle navi quarantena, che a oggi continuano a circolare nel Mediterraneo al largo di Puglia, Calabria e Sicilia e rinchiudere diverse migliaia di persone in mare aperto. Con l’arrivo dell’estate riprendono le espulsioni e vengono introdotte nuove modalità per la deportazione, come l’obbligo di tampone prima di essere messi di forza su un aereo. In Francia, questo nuovo obbligo viene usato dai prigionieri come mezzo per sottrarsi alla deportazione: rifiutando il tampone, non possono essere caricati sull’aereo. Possono però essere processati penalmente per aver ostacolato la propria deportazione, e finire in carcere (3). In Italia le notizie a riguardo sono più diversificate. In alcuni casi il rifiuto del test funziona come mezzo di dissuasione all’espulsione, in altri casi i prigionieri che rifiutano di farsi testare vengono massacrati di botte e forzati a fare un tampone dalle guardie (4). Un salto di qualità ulteriore viene fatto con l’introduzione del green pass, alla fine dell’estate 2021. Il pass, ottenuto tramite tampone o vaccinazione, fornisce un elemento in più di schedatura degli individui, con delle conseguenze particolari per coloro che non hanno i documenti giusti. Anche nel caso del pass generato per i guariti da covid, quello di potersi segnalare alla ASL – che presuppone il fatto di avere un indirizzo fisso, dei documenti, la volontà di mettersi nelle mani dello Stato – è un privilegio che non tuttx hanno). Senza documenti e senza tessera sanitaria non si ha accesso al green pass. Senza green pass, alcune attività sono vietate. Attraversare una frontiera con un green pass – o senza, perché non si è potuto ottenerlo – rende ancora più visibile l'”irregolarità” di una persona. Dalla Francia è arrivata la testimonianza di persone migranti che hanno avuto problemi con la polizia legati alla loro condizione di “irregolarità sul territorio” dopo aver cercato di ottenere il pass sanitario. Queste persone hanno ricevuto dei controlli dalla prefettura, sulla base di uno scambio di informazioni tra questa e l’azienda sanitaria. Nei ghetti dove vivono le persone migranti che lavorano in campagna il ricatto del vaccino legato alla mobilità e al lavoro, che si somma alla mancanza di documenti, ha spinto moltx a vaccinarsi. In decine si sono sottoposti al vaccino ma a causa della difficoltà a ottenere il tesserino sanitario STP (Stranieri Temporaneamente Presenti) ed entrare nel sistema sanitario nazionale non riescono ad avere accesso al green pass. Per le persone dell’est Europa il problema dell’accesso al green pass si è creato perché moltx sono vaccinatx con farmaci non autorizzati dall’EMA. Per delle persone la cui mobilità è continuamente intralciata, il ricatto del pezzo di carta che adesso vincola la possibilità di spostarsi all’interno dell’Italia ha spinto moltx a vaccinarsi, non per fiducia nello Stato o nei suoi mezzi ma per la coercizione delle condizioni materiali a cui esso le obbliga. L’emergenza come sistema di governo delle frontiere Da questa parziale ricostruzione di come ha funzionato negli ultimi due anni la frontiera e il controllo dei corpi che non possono liberamente attraversarla appare evidente come il modus operandi preveda una perennizzazione della situazione di emergenza che giustifica l’applicazione di normative straordinarie. Non diciamo niente di nuovo, è la legge che vige dall’inizio della pandemia e che sta generalizzando all’intera popolazione forme di controllo sperimentate chirurgicamente per anni su popolazioni marginali, nei campi di detenzione per migranti, alle frontiere. L’introduzione del green pass e il dibattito sulla creazione di un passaporto vaccinale europeo segnano l’imposizione di una nuova forma di schedatura degli individui basata su un criterio medico, che permette l’acquisizione di una serie di dati sanitari e personali. Forme di identificazione sempre più basate su informazioni di questo tipo spianano la strada al riconoscimento legato ai dati biometrici, peraltro già sperimentato in alcune aree del mondo, per esempio nei campi profughi gestiti dall’UNHCR (5). La pandemia ha marcato un precedente nel cambiamento della governance delle frontiere e del discorso a riguardo da parte degli Stati europei e su scala globale. Secondo il report della WHO (World Health Organisation), il covid-19 è stato il primo virus che ha determinato su scala mondiale una chiusura straordinaria delle frontiere sulla base di un criterio medico (6). Il protocollo della WHO siglato nel 2005 prevede che provvedimenti di questo tipo si basino su “principi scientifici” e “prove scientifiche reperibili” – da qui l’esigenza di una sinergia tra chi governa col pugno di ferro e gli scienziati, che forniscono le giustificazioni oggettive delle misure adottate. L’eccezionalità della situazione esplosa tra gennaio e marzo 2020 ha giustificato l’uso massiccio di strumenti di governo eccezionali, tra cui la chiusura dei confini a livello globale e la sospensione dei protocolli di Schengen in Europa (7). Non è un caso che a un anno e mezzo dallo scoppio della pandemia, alla vigilia del semestre di presidenza della UE, la Francia ha dichiarato di voler proporre un emendamento del protocollo di Schengen. La proposta si basa sull’inserimento di una casistica di situazioni di emergenzialità in cui agli Stati è permesso sospendere i protocolli e chiudere i propri confini nazionali (8). In questo modo, viene creata una normativa condivisa a livello europeo a partire da una misura arbitraria che è già in uso in modo saltuario da anni in diversi Stati europei (in Francia dagli attentati del novembre 2015). Non tocca più al singolo paese giustificare l’applicazione dello stato di emergenza, ma ci sarà una legge europea a garantire questa possibilità. Questo avviene a valle di un’estate e un autunno segnati da due crisi alle frontiere occidentale e orientale dell’Europa. La prima è scoppiata nel maggio 2021 a Ceuta, quando le guardie di frontiera di Rabat hanno smesso di pattugliare il confine, lasciando attraversare diverse centinaia di persone (9). Questo ha portato all’arrivo sulle coste spagnole di un numero compreso tra 8mila e 9mila persone migranti in 48 ore. Si è trattato di un gesto di ripicca del governo marocchino nei confronti dello Stato spagnolo, responsabile di aver accolto il leader della resistenza Saharawi per delle cure mediche. La crisi è rientrata dopo qualche giorno, con l’arrivo degli eserciti spagnolo e marocchino, centinaia di respingimenti forzati, arresti ed espulsioni. A inizio dicembre 2021, una nuova rotta per l’Europa si apre al confine tra Polonia e Bielorussia (10). Il canale è studiato ad arte dal governo bielorussio per mettere pressione sull’Europa, permettendo il passaggio massiccio di persone provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa occidentale attraverso voli charter con visti turistici. Le persone vengono poi accompagnate al confine con la Polonia, dove li aspettano kilometri di foresta, gelo e le violenze della polizia. La dinamica di questi due episodi non è nuova, ma richiama quello che succede alla frontiera tra Grecia e Turchia, dove Erdogan usa da anni ormai le persone migranti come arma di ricatto nei confronti dell’Europa, aprendo le frontiere a seconda delle proprie esigenze e del rapporto di forze che vuole instaurare con gli Stati europei, fatto che si è verificato proprio all’inizio della pandemia, nel Marzo 2020 (11). Un altro elemento accomuna questi tre confini: la presenza di muri e griglie. Al confine tra Grecia e Turchia un muro di 40 km separa i due paesi, implementato da sistemi di videosorveglianza ipertecnologici. La Polonia ha avviato il 25 gennaio la costruzione di una barriera di 180 km, che verrà completato con le più moderne tecnologie di sorveglianza, devastando una delle ultime foreste primarie al mondo (12). Ciliegina sulla torta, verrà costruito dai detenuti di una vicina prigione. Nel frattempo, la frontiera sud dell’Europa si dota di nuove forme di detenzione offshore, seminando nel Mediterraneo navi quarantena, in cui rinchiudere e poi espellere chi riesce a superare questi muri. Il green pass: una misura locale per un cambiamento europeo della gestione della mobilità Cosa c’entra tutto questo con l’introduzione in Italia e in altri paesi d’Europa del green pass o pass sanitario? I fatti possono sembrare scollegati, ma fanno parte, a livello discorsivo e nelle conseguenze pratiche che stanno avendo nella vita della gente, del medesimo processo di ridefinizione delle pratiche di gestione della mobilità degli individui, in un clima di esternalizzazione sempre più spinta delle frontiere. Le conseguenze delle politiche migratorie della UE e dell’introduzione della certificazione verde si stanno rivelando in tutta la loro devastante insensatezza sulle vite e sui corpi di chi viene costantemente rinchiuso all’interno di questo sfaccettato universo concentrazionario. Di questi giorni sono le testimonianze di gruppi di persone che vengono fatte scendere dalle navi quarantena in Sicilia, con provvedimenti di espulsione, e che si ritrovano bloccate in un limbo senza potersi muovere perché sprovviste di green pass (13). Inoltre, dall’introduzione del super pass, non possono prendere né treni né aerei né bus, perché è necessario un certificato di vaccinazione o di guarigione per accedere ai mezzi di trasporto. Si ritrovano quindi con una doppia “irregolarità”, quella dei documenti, che giustifica la loro espulsione, e quella del pass, che ostacola ancora di più i loro movimenti. Decine di persone che si accumulano nelle periferie dell’Europa e che si pretende di “gestire” con misure emergenziali, scaricando la patata bollente alle amministrazioni locali, che nella migliore delle ipotesi costruiranno una tendopoli ipersorvegliata, o un campo conteiner in cui stipare queste centinaia di persone. La situazione è talmente paradossale che la Croce Rossa, che da mesi lucra sulla reclusione delle persone migranti sulle navi quarantena, dove dovrebbe svolgere il lavoro di sorveglianza sanitaria – d’altra parte CR è ben nota per il suo compito di sbirraglia alla frontiera -, ha protestato contro l’aporia creata dall’introduzione del green pass per le persone senza documenti (14). Le persone negative che scendono dalle navi non possono avere il green pass e non sono vaccinate, quindi non hanno diritto a prendere i mezzi di trasporto, e restano bloccate negli hotspot, a volte addirittura cercano di risalire sulle navi senza sapere cosa fare. Allo stesso tempo, le procedure di asilo sono bloccate in diversi paesi d’Europa in modo intermittente dall’inizio della pandemia. Nel 2020 si è registrato il numero più basso di richieste di asilo dal 2013 e il 58% delle domande sono state rifiutate(15). In Svizzera non è attualmente possibile fare domanda di asilo. In Italia, lo scoppio della pandemia è andato ad aggravare la dimensione di emergenzialità resa sistematica dal DL Salvini del 2018: i CAS sono stati i principali focolai di contagio, e il susseguirsi di quarantene forzate ha significato per alcunx la perdita dell’accesso al sistema di regolarizzazione. La stessa istituzione delle navi quarantena ha frammentato ulteriormente i percorsi di accesso al diritto di asilo e implementato l’approccio hotspot. Nel frattempo, l’ultima misura di regolarizzazione “di massa”, la sanatoria dell’estate 2020, ha permesso a un numero infinitesimale di persone di ottenere dei documenti (16). Decine di datori di lavoro hanno potuto costruire un business su questa ridicola misura, vendendo contratti e residenze a diverse migliaia di euro e promettendo documenti a chi voleva ottenerli. Ancora una volta, la legge si dimostra un utile strumento di propaganda per lo stato e di profitto per chi sfrutta, continuando a produrre miseria ed esclusione per lx oppressx. Allargando lo sguardo oltre oceano, il governo assassino degli Stati Uniti si sta servendo delle misure legate al contenimento del COVID per rendere ancora più efficaci e sistematici i respingimenti delle persone alla frontiera con il centro America (17). In Australia, il contenimento del covid-19 ha permesso di sperimentare a livello della società il modello già in uso sulla popolazione migrante, creando dei campi di detenzione per positivi e dei luoghi di detenzione off-shore per le persone in arrivo che dovevano effettuare la quarantena (18). Qualche pista di solidarietà e di lotta Di fronte alla gravità di quello che sta accadendo ovunque in Europa, sentiamo l’esigenza di condividere qualche spunto per dei tentativi di lotta e resistenza contro il green pass e il suo mondo. La cosa più importante, ci sembra, è dare voce alle storie di chi vive sulla propria pelle ogni giorno la violenza del confine, in qualsiasi sua forma ed emanazione, dal green pass alla polizia di frontiera. Fare da cassa di risonanza affinché le testimonianze e le voci di rivolta escano dalle quattro mura in cui le vogliono rinchiudere è uno strumento per distruggere l’isolamento e combattere la repressione. Le carceri per migranti, galleggianti e sulla terra ferma, e i campi di lavoro dove vengono costretti a vivere i lavoratori stagionali sono fonte di lucro per diverse imprese private i cui nomi sono ben conosciuti. Sottolineare le loro responsabilità e rimandare al mittente una minima parte della rabbia che ci provocano è un gesto dovuto. Sostenere chi vede la sua mobilità intralciata ogni giorno di più in un mondo di lasciapassare verdi e documenti passa attraverso la creazione di relazioni e reti di solidarietà che possono permettere di muoversi al di fuori delle maglie di questo sistema, per quanto possibile. Non sottostare al ricatto di questo ennesimo pezzo di carta che serve a provare di avere diritto a superare un confine o prendere un mezzo di trasporto, è uno dei modi di ostacolarne la diffusione e impedire la differenziazione sempre più netta tra chi ha i documenti in regola e chi no. Il mondo chiuso e tracciato che stanno costruendo intorno a noi ci opprime e disgusta, e non vediamo l’ora di distruggere le pareti grige in cui ci vorrebbero rinchiudere. CONTRO TUTTE LE FRONTIERE (1) https://ilrovescio.info/2021/01/30/della-rivolta-nella-ex-caserma-serena-a-treviso-e-della-sua-repressione-non-lasciamo-solo-chi-lotta-per-la-liberta/ (2)https://altreconomia.it/tunisia-rimpatri-accordi-informali/ (3)https://abaslescra.noblogs.org/les-tests-covid-un-nouvel-outil-de-criminalisation-ou-comment-letat-reussit-a-doubler-le-temps-de-retention (4)https://nocprtorino.noblogs.org/post/2020/12/30/aggiornamento-dal-cpr-di-torino-30-11-2020/ https://torino.repubblica.it/cronaca/2021/02/02/news/torino_no_al_tampone_prima_di_salire_in_aereo_cosi_gli_immigrati_clandestini_evitano_il_rimpatrio-285625544/ (5)https://blogs.prio.org/2021/08/contingency-planning-in-the-digital-age-biometric-data-of-afghans-must-be-reconsidered/ (6)https://www.thinkglobalhealth.org/article/border-management-after-covid-19-new-strategies-required (7)http://www.dpceonline.it/index.php/dpceonline/announcement/view/172 (8)https://www.repubblica.it/esteri/2022/01/01/news/rilancio_potere_appartenenza_inizia_il_semestre_francese_di_presidenza_dell_ue-332301698/ (9)https://formiche.net/2021/05/marocco-spagna-crisi-ceuta-migranti/ (10)https://lavampa.noblogs.org/post/2021/12/29/aggiornamenti-dal-confine-fra-polonia-e-biellorussia_nessuna-frontiera/ (11)https://www.ilpost.it/2020/03/02/migranti-turchia-grecia/ (12)https://radioblackout.org/2022/01/un-racconto-dalla-frontiera-polonia-bielorussia-e-aggiornamenti-dai-confini-orientali-europei/ (13)https://www.agi.it/cronaca/news/2022-01-19/covid-migranti-espulsione-ma-prigionieri-italia-perche-senza-green-pass-15290647/ (14)https://www.avvenire.it/attualita/pagine/navi-quarantena-la-croce-rossa-minaccia-di-scendere-illecito-trattenomento (15)https://euaa.europa.eu/news-events/easo-asylum-report-2021-covid-19-exposes-strengths-and-weaknesses-eu-asylum-systems (16)https://www.asgi.it/notizie/la-sanatoria-mancata/ (17)https://www.voanews.com/a/americas_unhcr-end-covid-border-restrictions-blocking-central-american-asylum-seekers/6219234.html (18)https://www.abc.net.au/news/2022-02-03/camps-open-to-address-covid-affected-rough-sleepers/100798900

Pubblicato in Comunicati | Commenti disabilitati su SU GREEN PASS E FRONTIERE

STREGHE DI IERI, STREGHE DI DOMANI (e tante domande sull’oggi)*

“Ha paura. La paura ha odore più forte degli aghi di pino sul sentiero della  foresta.
La terra fuma dopo la pioggia di primavera. Il suo cuore è più rumoroso dei muggiti dei pascoli comunali. L’anziana porta al braccio un cesto di erbe e di radici che ha da poco raccolto, vecchio come il tempo.
I suoi piedi sul sentiero sono gli stessi di sua madre, di sua nonna, delle sue antenate. Sono secoli che cammina tra le querce e i pini, a raccoglier erbe per poi farle seccare sotto la tettoia della capanna, costruita nelle terre ancora comuni. Dacché ha memoria la gente del villaggio la va a trovare per il dono che ha nelle mani, guaritrici, le stesse che posizionano al meglio il bambino nel ventre della madre all’ora della nascita, la sua stessa voce calma che allontana le sofferenze e culla l’insonne fino al riposo.”
(Il tempo dei roghi, pag.3)

La nascita della scienza moderna, della professione medica e la caccia alle streghe:
perchè rievocarle?

Per stimolare una discussione attuale sull’idea che abbiamo di tutela della salute da un lato e sulla nascita del sistema medico-scientifico patriarcale dall’altro, guardare alla storia del passato ci è sembrato un buon punto di partenza per tentare una lettura del presente. Non abbiamo la pretesa, nè saremmo in grado al momento, di restituire questa storia nella sua enorme complessità in questo testo, ma ci è sembrato utile avere in nota qualche breve riferimento storico da utilizzare come spunto di riflessione. L’intreccio tra la storia della repressione delle streghe, donne appartenenti alle classi sociali più povere, e la nascita della professione medica, della scienza moderna, del capitalismo spiegano in parte il perchè definiamo il sistema medico scientifico occidentale come patriarcale sin dalle sue origini. Da qui, una delle ragioni della sfiducia nei suoi confronti a cui cerchiamo di contrapporre una nostra visione e pratica di salute, sia individuale che collettivo.

La medicina come “professione” si affermava in Europa nel XIII secolo, come una scienza di estrazione universitaria, sviluppata dalle classi agiate per le classi agiate, avallata dal beneplacito della Chiesa e delle autorità ecclesiastiche. Alle donne provenienti dalle stesse classi urbane elevate fu deliberatamente precluso l’accesso alla professione medica ufficiale, così come dagli studi universitari, attraverso una vera e propria campagna di esclusione. Le donne che decidevano comunque di esercitare la pratica medica venivano accusate di pratiche illegali e processate. Al termine del XIV secolo, l’esercizio della medicina ufficiale si affermava definitivamente nelle città e nei ceti agiati come una professione esclusivamente maschile. Trattandosi di una scienza sviluppata a partire da basi del tutto teoriche, le pratiche utilizzate risultavano spesso non solo inefficaci, ma anche dannose e più simili a delle torture (si pensi a pratiche come il salasso o l’impiego delle sanguisughe).

Se tra le fila borghesi sorgeva a livello ufficiale la professione medica, una larga schiera di guaritrici e guaritori esisteva da sempre tra le classi contadine e più povere. L’impiego del metodo empirico e delle conoscenze erboristiche rendeva questi saperi molto più efficaci nella loro applicazione pratica. A essere etichettate         streghe nel periodo medioevale furono proprio (ed esclusivamente) le donne guaritrici delle classi contadine, detentrici di saperi di medicina popolare e ostetricia.

Poiché il numero di medici ufficiali non era certo sufficiente a coprire un’elevata domanda di assistenza sanitaria, è noto che nelle prime fasi ancora disorganizzate della nascita della professione medica, continuava a essere frequente il ricorso alle guaritrici non ufficiali anche tra le classi più agiate, sia per necessità, sia perché maggiormente economico e conveniente. Non è difficile immaginare, applicando le lenti del nostro presente, che si fosse creato allora una sorta di doppio binario, formato di medici ufficiali pagati a caro prezzo da un lato e da guaritrici clandestine sfruttate dall’altro.
Quello che va sotto il nome di caccia alle streghe è un vero e proprio genocidio, avvenuto in Europa, in un arco temporale molto lungo che va dal XIV al XVII secolo. È importante dire che di quella storia non è giunta sino a noi una narrazione diretta per stessa penna di chi l’ha subita, le streghe, ma, laddove non mistificata o ridotta a una questione di folklore dalla storia ufficiale, è stata restituita in parte da indagini e ricostruzioni storiche di impronta femminista. Nominare la caccia alle streghe come la storia di un vero e proprio genocidio è un atto di restituzione storica, che per la sua portata rivela quanto queste donne fossero scomode al potere in un periodo storico di transizione verso il capitalismo. Per comprendere perchè quello dell’eliminazione della magia e superstizione fu pretesto per un genocidio così atroce, ci aiuta il constestualizzarlo brevemente nella sua epoca.

La caccia alle streghe si inserisce infatti in un contesto storico ampio e complesso:
in Europa, con il fenomeno delle Enclosures, cioè l’espropriazione di massa delle terre ai contadini e la loro privatizzazione, si avviava un cambiamento epocale; parallelamente, oltreoceano, la conquista europea delle Americhe avveniva attraverso uno sterminio di massa, giustificato da credenze ideologiche e religiose che marchiavano i popoli originari come inumani e pericolosi. Nel XVI secolo, infatti, il momento culmine dei processi alle streghe, donne contadine, coincidono con il periodo delle rivolte contadine in Europa contro la privatizzazione ed espropriazione delle terre. Non ultimo, cominciava proprio nello stesso secolo a svilupparsi un nuovo interesse per il controllo della popolazione e della forza-lavoro e, quindi, della riproduzione: il suo controllo doveva diventare appannaggio di statisti ed economisti e il corpo della donna è posto al servizio della popolazione e della produzione. Fu nel XVII secolo che l’ostetricia e l’assistenza a parto e aborto, le cui pratiche e saperi fino ad allora erano detenuti in modo esclusivo dalle levatrici streghe, furono messe al bando, così che l’ostetricia divenne anch’essa una professione controllata e regolata dallo Stato, riservata ai maschi.

Certamente, la caccia alle streghe, fu anche un ottimo strumento per dividere i contadini nel momento in cui venivano loro sottratte le terre: la relazione con la terra durante il Medio Evo, e l’uso collettivo che ne veniva fatto, era infatti molto diverso da quello che sarebbe diventato con la recinzione dei terreni e l’incremento dello sfruttamento della natura finalizzato al profitto. In molti infatti, anche i più poveri, fino a quel momento vivevano dei prodotti della terra, dei piccoli appezzamenti comunali o di quanto poteva essere ricavato dai boschi e dalle foreste. Questo valeva soprattutto per le donne anziane, le vedove, che fino a questo periodo erano tutelate dal diritto consuetudinario, che garantiva loro acesso alla legna e alla sussistenza. Quando si incominciò a recintare le terre e ad espropriare le contadine e le donne anziane del loro accesso a queste risorse, si ebbero atti di insubordinazione e resistenza. In risposta a questo il clima di terrore che si impose nelle comunità contadine con l’insinuarsi della minaccia della stregoneria, agì da deterrente. Ad essere accusate di stregoneria non erano solo le donne in quanto tali, ma sopratutto le donne degli strati più bassi della società, che private dei propri mezzi di sussistenza, si ribellavano.

Bisogna dire che la caccia alle streghe fu pretesto per una repressione sistematizzata e feroce nei confronti di tutte quelle donne che in qualche modo deviavano dalla norma sociale loro imposta, perchè ribelli (si pensi agli episodi noti di rivolte contadine in Spagna guidati da donne), per la loro sessualità, perchè accusate di adulterio e perchè guaritrici e levatrici illegali. Allo stesso tempo, la scienza medica ufficiale e i suoi dottori uomini ebbero un ruolo determinante e attivo nell’oppressione delle streghe e nella contestuale espropriazione dei loro saperi. Lo stesso Paracelso (1527), considerato il padre della medicina moderna, ammise che tutto ciò che aveva appreso fu non dai trattati universitari, bensì dalle “fattucchiere”.

La mentalità che permise e fece da solida base ideologica alla riuscita, non solo del genocidio delle donne in quanto streghe, ma anche di una trasformazione radicale del mondo, è anche da rintracciare nei filosofi e negli scienziati che costituiscono la base teorica della scienza moderna. Fra questi ebbero un ruolo di prim’ordine Cartesio, Hobbes e Bacone, autori che ancora oggi vengono studiati e apprezzati per averci “liberato” dalla paura “irrazionale” della natura. Le teorie degli “illustrissimi scienziati” (!) dell’epoca fungono da fondamento scientifico-teorico per la campagna repressiva contro le streghe, puntando a screditare ogni sapere legato al corpo e alla salute che non corrispondesse a quello validato dal sistema ufficiale.
Il razionalismo scientifico è stato un veicolo di “progresso” che ci ha portato a quello che è il mondo di oggi, un mondo in cui viviamo alienate dalla natura, in cui il mondo naturale e animale sono concepiti solo secondo una visione utilitaristica e strumentale, un mondo in cui gli eventi naturali sono fenomeni da dominare e controllare. Abbiamo perso la capacità dialogica di riferirci all’ambiente e al mondo vivente come a una parte di noi stesse e, viceversa, di riconoscerci come parte dell’ambiente.
Fra queste teorie alla base della scienza moderna, possiamo prendere ad esempio il meccanicismo, che in sintesi “è una descrizione del cosmo, della società e degli esseri umani intesi come insiemi di parti distinte e separabili, controllabili dall’esterno perché rispondenti a un sistema di leggi di tipo logico-matematico. Questo modello esclude tutto ciò che si presenta incerto e imprevedibile quindi non manipolabile; mette in luce solo le caratteristiche quantitative, semplificabili, della realtà”
(Anna de Nardis https://www.dmi.unipg.it/mamone/sci-dem/nuocontri_3/adenardis.html).
Ciò che non è prevedibile, classificabile o intelleggibile è anche meno facilmente controllabile: l’energia caotica dell’esistente ha sempre spaventato chi detiente il potere. Per il fatto di non rientrare entro propri schemi di razionalità e conoscenza, la medicina delle streghe veniva definita magia o superstizione, nonostante fosse frutto di una scienza empirica ricca di saperi e pratiche efficaci.
La trasgressione delle norme morali, sociali e culturali di ogni epoca storica, in qualsiasi forma avvenga, è un’arma che abbiamo contro la violenza stigmatizzante del pensiero unico imposta dal potere, che divide e separa. Interrogarsi sulla trasgressione e sul limite, su che cosa siamo disposte a cedere, a perdere o a difendere fino alla fine, anche a costo di essere nuovamente escluse ed emarginate, significa interrogarsi ancora una volta sulle nostre identità. Le streghe in questo senso rappresentano per noi la possibilità di riconoscerci dentro a un processo storico che può essere utile per comprendere che anche ai giorni nostri si possono facilmente ritrovare le tracce di violenze già subite. Affondando in profondità e scavando, si può vedere come da sempre i vari dispositivi di potere hanno agito per conformarci a un’idea su chi siamo e su chi dovremmo essere.
Il pensiero scientifico si è tradotto in un progetto di dominio che, avvalendosi dell’apporto dello sviluppo tecnologico, è riuscito ad allontanare l’essere umana dalla possibilità di accedere a una conoscenza altra su se stessa e sul mondo. Bacone, uno dei padri del metodo scientifico, arriva a descrivere la natura come una donna da conquistare, scoprire, violentare. Possiamo vedere nella caccia alle streghe la connessione della “distruzione dell’ambiente e lo sfruttamento capitalistico del mondo naturale con lo sfruttamento delle donne” (Calibano e la Strega pag. 265). L’allontanamento dal mondo naturale è andato di pari passo a una sordità e a un’incapacità di ascoltare i messaggi del nostro corpo e dei corpi altrui, silenziando e reprimendo non solo gli istinti ma anche le possibilità di pensare ad altre forme di intendere la malattia, la cura, la guarigione, la salute.
La stagione della caccia alla streghe si è data in un periodo storico che ha posto le fondamenta della società capitalista, rafforzando al contempo idee classiste e misogine, con le quali dobbiamo convivere ancora oggi.
Nelle epoche successive e nel mondo sempre più globalizzato, l’interesse capitalista per il controllo della popolazione e della riproduzione si è fatto sempre più centrale e, con esso, il livello di invasività sui corpi delle donne e sul controllo di riproduzione e aborto.

Con la strumentalizzazione di questa pandemia globale, il livello di invadenza medico-scientifica e tecnologica dell’epoca attuale, già ormai avanzato e globalizzato, è stato esasperato fino ad arrivare a un punto di non ritorno. Ripercorrere a ritroso questa storia ci sembra un utile strumento per capire come autodifenderci e frenare questa corsa alla trasformazione del potere per il dominio totalizzante dei nostri corpi.
Cos’è la salute secondo il sistema capitalista

Vogliamo risignificare il concetto di salute perché quello che ci è stato imposto dal sistema medico-scientifico patriarcale e capitalista non ci appartiene. Abbiamo provato a riassumere le caratteristiche dei concetti imposti di salute e malattia attraverso le nostre esperienze e conoscenze per poi concentrarci sui significati che vogliamo dar loro in un’ottica transfemminista e non positivista.

Il sistema medico-scientifico ci insegna che salute vuol dire guarire il più rapidamente possibile un sintomo o nascondere un dolore (fisico, mentale, emozionale) per tornare a essere produttivx per la società: siamo delle macchine che devono funzionare ad ogni costo. La medicina settorializza il corpo, e cioè vi si approccia come ad un insieme di pezzi scollegati che, se malfunzionanti, doloranti o rotti, vanno aggiustati, eliminati o sostituiti. La causa del malfunzionamento non viene indagata, per cui una stessa sintomatologia che può avere cause diverse viene trattata alla stessa maniera rendendo spesso il trattamento inefficace.
L’ambiente circostante e le condizioni di vita delle persone non vengono prese in considerazione come cause o concause delle malattie: il corpo viene estratto dal contesto ambientale e sociale in cui vive. Se hai una malattia, la colpa è tua e del tuo corpo. Le lotte ambientali, dall’Ilva alla Terra dei Fuochi, ci insegnano che se il territorio in cui viviamo è inquinato e devastato anche i nostri corpi ne subiranno le conseguenze. Ovviamente, i corpi delle donne e delle persone assegnate femmine alla nascita sono particolarmente colpiti dall’approccio patriarcale della medicina: troppo spesso tutte quelle patologie legate all’apparato riproduttivo di questi corpi non vengono riconosciute e diagnosticate, se non con anni e anni di lotte, ricerche e rimbalzi tra un medico e l’altro.
In generale, la cura del corpo è delegata e affidata a esperti esterni da cui dipendiamo, o crediamo di dipendere, perché non conosciamo com’è fatto il nostro corpo e come curare le malattie che lo colpiscono.

La gestione della pandemia ci fa vedere anche come le misure che sono state adottate (mascherine, distanziamento, lockdown) sono puramente contenitive ed emergenziali, mentre tutto ciò che riguarda la prevenzione e la cura non vengono approfondite nel dibattito pubblico. I telegiornali puntano a terrorizzare le persone con le immagini del disastro sanitario, ma nessuna comunicazione viene fatta su come curarci se veniamo colpitx dal virus, su come prevenirlo rinforzando il proprio sistema immunitario o su come provare a condurre degli stili di vita sani – perché uno stile di vita sano non può esistere in una società capitalista, e il gioco non può svelare le sue regole.

Cosa sono salute e malattia per noi

Per noi salute non ha che vedere solamente con il benessere o malessere del nostro corpo, riguarda anche come questo corpo lo percepiamo o ce lo fanno percepire. La salute riguarda anche come sta la nostra mente, l’armonia dei nostri sentire con tutte le differenti parti di noi stesse, che reputiamo essere interconnesse.
Non crediamo nel binarismo mente-corpo ma ci consideriamo un insieme complesso formato da corpo, mente, emozioni, energia, relazioni e ambiente che ci circonda e la salute riguarda ognuna di queste cose. Intendiamo la salute in una prospettiva ecologica, e cioè di equilibrio tra noi e il resto del mondo vivente. A condizionarla, sono quindi anche i nostri rapporti sociali, il contesto in cui viviamo, l’aria che respiriamo, il cibo che mangiamo, il benessere o malessere dell’ambiente che ci avvolge e che comunica con noi. Allo stesso tempo, salute investe anche le sfere relazionale e affettiva, perché siamo esseri interdipendenti e il nostro benessere dipende anche dalle relazioni che abbiamo e dalle reti affettive che ci circondano, ed è solo attraverso queste reti che ci creiamo che possiamo prenderci cura l’un dell’altrx.
Mettere al centro un’idea diversa di intendere le relazioni, il corpo, l’identità è mettere al centro una diversa idea di salute.

La malattia è quindi un sintomo di un disequilibrio in noi stessx e/o nel mondo, che si rispecchia in noi. Intendiamo la malattia come un indizio da indagare e non un sintomo da silenziare. Crediamo che indagare le cause della malattia e andare ad agire in profondità siano l’unica guarigione possibile.  Indagare le cause significa riappropriarsi di una visione olistica, in cui il bisogno di cura trascende la sola persona ammalata e coinvolge tutto il sistema nel suo insieme.

Cosa intendiamo per autogestione e cura

Crediamo che la gestione della propria salute non sia un problema che vada risolto individualmente. Nella visione dello Stato, tutta la responsabilità della pandemia cade sul singolx fomentando la divisione sociale, amplificando la percezione di solitudine, creando un discorso moralizzante. Così come nelle prime fasi della pandemia forte era il discorso del “siamo tutti sulla stessa barca” – e allora sapevamo bene come questa immagine fosse del tutto falsa – ancora oggi ci viene chiesto di reponsabilizzarci solo sulla base di quelli che sono gli interessi di alcuni (Stato, Confindustria, Case Farmaceutiche etc.). Le conseguenze di queste politiche sono la frammentazione sociale e la lotta tra poveri e la difficoltà di individuare i veri responsabili della pandemia.
Crediamo anche che la gestione della propria salute non si esaurisca nella scelta di adempiere o meno a determinate norme di comportamento dettate dallo Stato. Non ci sono delle norme che valgono sempre. Dopo quasi due anni di pandemia è evidente che adempiere alle norme dettate dallo Stato non basta e a volte è addirittura controproducente, così come non seguire le norme imposte non vuol dire remare contro la salute collettiva.
Autogestione vuol dire ragionare insieme per creare strumenti di cura e tutela basati sul consenso e sulla nostra concezione di salute, in base alle nostre esperienze pratiche e alle nostre condizioni specifiche.
Ci siamo chieste e continuamo a chiederci, come possiamo continuare a condividere spazi di vita e di lotta, col massimo della cura? Sicuramente, non riteniamo valida la gerarchia di priorità che durante questa pandemia è stata imposta: per esempio, il lavoro e la famiglia biologica sono state tutelate e agevolate, a scapito di tutte le altre forme di relazioni, condivisione e attività che riteniamo vitali, tra cui anche l’incontrarsi per continuare a lottare.

Vogliamo mettere in discussione il pericoloso binomio salute-libertà formulato nella gestioene neoliberista di questa pandemia. Le misure come il green pass e l’ormai evidente obbligo vaccinale sono state presentate dagli Stati come il necessario compromesso della libertà dell’individuo in nome della salute della Nazione. Questa concezione limitante nega la possibilità di autodeterminarsi e di dare altri significati alla salute e alla libertà. Su queste basi è stata portata avanti una campagna mediatica e politica contro le persone non vaccinate, creando la categoria sociale dei “no-vax” e utilizzandola come un capro espiatorio da un lato per l’imposizione di ulteriori dispositivi di controllo e dall’altro per scaricare le responsabilità della gestione della pandemia.
L’obbiettivo dello Stato e della scienza di rappresentare i “no-vax” come pericolosi, egoisti, ignoranti che mettono a rischio la salute collettiva e che vanno assolutamente convinti a vaccinarsi, è quello di non dare spazio all’autodeterminazione. Non è contemplato come legittimo il decidere autonomo e consapevole di prendersi cura del proprio corpo in modo diverso da quello “proposto” dalla scienza positivista.
Noi crediamo che anche in questa situazione salute e libertà non siano in contrasto ma anzi vadano insieme. Il fatto che ogni soggettività sia libera di autodeterminarsi sul proprio corpo è parte fondamentale della salute propria e quindi collettiva.
A non avere niente a che fare con la cura della salute sono invece le nuove misure di contenimento dei contagi. L’introduzione del Super GreenPass ci rivela ancora una volta la natura economica e non sanitaria di questo dispositivo. Si è dato libero sfogo ai consumi per le feste, lasciando correre i contagi, che tanto la colpa rimane dei non vaccinati e intanto le tasche del capitale si rimpinzano.

Non vogliamo aderire all’idea di vita che ci impone lo stato perché abbiamo un’altra idea (almeno una a testa) di cosa sia la vita.
La retorica di una guerra da vincere contro il virus sembra essere tutta giocata dagli stati e dai suoi scienziati in termini di numeri di vite salvate: questione di vita o di morte. Questa visione non solo è criticabile, perché il salvare la vita biologica a ogni costo non ci interessa se questa vita non è libera di essere vissuta, ma anche ipocrita. Noi e il mondo attorno a noi moriamo ogni giorno che i potenti del capitalismo sfruttano e devastano le nostre vite e l’ambiente. Il virus così come tantissime altre malattie sono frutto del pensiero dell’onnipotenza dell’essere umano che si considera superiore e slegato dalla natura e di fatto la sfrutta e la distrugge. Per questo, se da un lato è importante costruire insieme strumenti e conoscenze per autogestire la cura e la salute, dall’altro è altrettanto necessario attaccare chi la salute ce la toglie, e cioè un sistema che individuiamo come la vera causa del nostro malessere.
La “salvezza” che ci impongono lo Stato, il capitalismo e la scienza positivista non ci interessa, anzi è esattamente ciò contro cui continueremo a lottare, perché vivere la propria vita è molto meglio che sopravvivere.

*Il contenuto di questo testo è la restituzione della seconda puntata di discussione tra compagnx donne, lesbiche e trans* su salute, pandemia e green pass.

BIBLIOGRAFIA UTILE ALLA PRIMA PARTE DEL TESTO
– Calibano e la strega, di Silvia Federici, 2015
– Le streghe siamo noi, di Barbara Ehrenreich – Deirdre English, traduzione italiana 1975
– Donne al rogo. La caccia alle streghe in Europa, le enclosures, la nascita del – capitalismo, dicembre 2020, disponibile su anarcoqueer.wordpress.com
– Il tempo dei roghi, ?
– articolo di Anna De Nardis https://lnx.ilclic.it/wp/2020/08/19/il-tragico-trionfo-del-meccanicismo-dalla-rivoluzione-industriale-al-covid-19-1a-parte/

Pubblicato in Comunicati | Commenti disabilitati su STREGHE DI IERI, STREGHE DI DOMANI (e tante domande sull’oggi)*

Protesta e Battiture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere


Il 1 gennaio nel reparto Senna del carcere di Santa Maria Capua Vetere le donne detenute, circa 50, hanno protestato dopo l’ennesimo maltrattamento di una di loro da parte del medico di turno. C’è stata una battitura e sono stati bruciati alcuni asciugamani.
Della notizia non ha parlato quasi nessuno, se non un paio di articoli che concludono invocando più sicurezza per la polizia penitenziaria, che sarebbe oggetto di continue violenze da parte delle persone detenute. Gli stessi secondini noti per la mattanza dell’Aprile 2020 e di cui un centinaio sono ora sospesi e sotto processo, insieme a diversi funzionari del DAP. La stessa penitenziaria che ogni giorno maltratta, abusa e uccide in questa e in tutte le altre carceri italiane.
Mentre i sindacati di polizia penitenziaria piangono miseria e i vertici del ministero di giustizia fanno di Santa Maria Capua Vetere un caso esemplare per ripulirsi la faccia della strage di Stato avvenuta a Marzo 2020 nelle prigioni italiane, ricominciano a scoppiare focolai in diversi reparti dappertutto. In Campania, sia a Poggioreale che a SMCV sono diverse decine le persone detenute positive. Ma i contagi all’interno non fanno più notizia. Dopo l’iniziale clamore della campagna vaccinale, è evidente che la situazione strutturale di malasanità e sovraffollamento non è mai cambiata.
Ieri un piccolo gruppo di solidali è andato sotto le mura della prigione per portare un grido di solidarietà alla lotta delle detenute di SMCV. Dopo i primi cori, la risposta da dentro è stata immediata, con battiture e urla – “Libertà, hurryia, indulto”. Il saluto è durato poco, ma il messaggio di rabbia e resistenza da dentro è stato forte e chiaro. Torneremo, non mollate.

Tuttx Liberx

Pubblicato in Comunicati | Commenti disabilitati su Protesta e Battiture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere

Aggiornamenti dal confine fra Polonia e Biellorussia_Nessuna Frontiera

Nell’agosto 2020, Lukashenko è stato rieletto tra le proteste della popolazione. Molte persone dissidenti sono state arrestate*. La Russia ha dato manforte al regime di Lukashenko e alle richieste del leader, che è stato formalmente sanzionato dall’Unione Europea con delle sanzioni economiche. Da un lato ci sono Lukashenko e Putin, e dall’altro un’Unione Europea che sta cambiando vertici. A questo si aggiunge una situazione economica in cui c’è in ballo un nuovo gasdotto che dovrebbe portare il gas dalla Russia in Europa*, un fattore che sbilancia i rapporti tra UE e Russia.
In questo gioco di forze, Lukashenko si sta servendo delle persone migranti per esercitare una pressione sull’Europa. Per questo ha aperto dei voli charter e di linea per chi vuole partire verso l’Europa con visti turistici di pochi giorni, provenendo dal Medio Oriente e dall’Africa Subsahariana. I voli sono diretti o con scali, soprattutto in Turchia ed ex Unione Sovietica. Chi arriva non può tornare indietro, per via degli scali. Una volta arrivatx in Bielorussia, le persone vengono inviate al confine con la Polonia.
Al momento al confine non ci sono organizzazioni internazionali, è vietato avvicinarsi al confine per qualsiasi individuo, media e ONG. Nel momento in cui la gente ha cominciato ad arrivare al confine la Polonia ha chiuso tutto e militarizzato la frontiera. In questo momento sono schierati oltre 20.000 militari. Gli eserciti polacco e bielorusso gestiscono tutto. Il confine è molto lungo e i militari sono concentrati in una zona in particolare di un centinaio di km. La frontiera è un bosco, attraversato da sempre.
La rotta che si è aperta ora è nuova, prima c’erano persone che si muovevano da est a ovest, ora invece le persone arrivano da sud in Bielorussia e da li proseguono verso ovest. Questa rotta è stata creata ad arte per fare pressione sull’Unione Europea. Anche se la rotta viene chiusa perché vengono annullati i visti, la voce di quel canale per passare si diffonde, e le persone continuano ad arrivare.

Di seguito, pubblichiamo uno scritto tradotto ricevuto da alcun* compagn* attiv* sul confine fra Polonia e Biellorussia.

No borders no nations – EMDT

 

Carx amichx,
vi portiamo qui un po’ della storia del territorio attualmente chiamato Polonia.

1. Architettura di una follia

L’autunno polacco è freddo. A metà novembre la prima neve ha coperto la foresta. Ma ora è già inverno.
Se a Settembre passare attraverso fiumi e paludi vicino alla frontiera era pericoloso, ora rendono il tempo davvero poco.
Quando le persone arrivano alla frontiera Bielorussa, sono “orchestrate” da autorità ed esercito. Le minacciano, sparando loro accanto ad esempio, e con la violenza (botte, furti), sono obbligate ad attraversare la rete nel punto loro indicato. A seconda della fortuna, ci potrebbe essere una parte di foresta, campi esposti, fiumi o paludi.
È importante, in quanto unica possibilità, arrivare dall’altro lato.
Se riescono, hanno una possibilità di uscire da questa trappola, sebbene non sia una certezza.
Si devono muovere nel buio, nascostx tra gli alberi. Seguire le strade non è un opzione possibile, in quanto ovviamente, battute dai militari.
In quest’area si trova la tipica foresta europea, la natura selvaggia e densa rende difficile il passaggio.
Chi viene intercettatx dalle forze polacche, viene immediatamente ricacciatx nel lato bielorusso. Anche se ovviamente contrario ai diritti umani e dei rifugiati, questo modo di agire è stato legalizzato dalla normativa polacca, creata appositamente negli ultimi mesi.
Quando le incontriamo, a volte sono in viaggio da una settimana, a volte da un mese e quasi sempre sono statx già respintx più volte. Spesso la loro salute è già molto compromessa, sono scarichx e senza speranza. Ciò nonostante, persistono in questa situazione drammatica.
Noi scherziamo tristemente sul fatto che in un gruppo su due che andiamo ad aiutare c’è qualcunx col diabete. Questo mostra che molti di coloro che decidono di migrare lo fanno per ragioni di salute. Il che rende più difficile per loro adattarsi a situazioni inaspettate.
Molte delle persone che abbiamo incontrato, per raccogliere i soldi per arrivare in Europa hanno fatto grandi sacrifici. Alcuni hanno dovuto vendere gli organi per pagare questo viaggio. Un rene in cambio della possibilità di venire in Europa. Quando queste persone finalmente raggiungono i confini dell’EU, trovano botte, cani, gas lacrimogeni e idranti.
In Polonia più di 20.000 agenti sono stati mobilitati nella zona di confine, contando polizia, soldati e unità di difesa del territorio. Fanno della frontiera una vetrina propagandistica delle loro capacità mostrando la polizia a cavallo e l’uso di droni militari per andare alla ricerca di persone affamate nella palude. Non per portare loro del cibo, contrariamente a quanto dicono a volte.
In questa situazione anche alcunx agenti dello stato crollano e non sopportano l’orrore di rigettare bambinx piccolx oltre il confine, in Bielorussia.
Nonostante il fatto che moltx migranti abbiano perso delle persone amate, subìto torture e stupri, siano statx forzatx a vendere gli organi, non si lasciano scalfire dall’esercito bielorusso e ancora hanno la forza di combattere per la propria dignità.
Queste persone hanno più forza di tutti gli eserciti del mondo, e con loro noi ci opporremo a questo sistema e a tutti i giochi di potere della politica.

2. Un pò di storia, come è cominciato tutto

Data la situazione tesa tra l’UE e la Bielorussia, pochi mesi fa Łukashenko, dittatore bielorusso ha deciso di fare pressione sull’UE inviando migranti oltre il confine. Ha creato artificialmente una massiccia rotta migratoria, attirando in Bielorussia persone interessate, principalmente dal Medio Oriente e talvolta dall’Africa, spesso attraverso la Turchia. Ha cambiato le politiche dei visti per facilitare il viaggio,il numero dei voli è aumentato molto.

Prima i paesi Baltici, poi la Polonia, si sono impegnate nella costruzione di un muro di confine. Gli agenti di Frontex non sono direttamente autorizzati ad agire nel territorio Polacco, ma sappiamo che Frontex collabora con lo stato polacco in questa situazione.

Le persone che cercano una vita migliore devono pagare molto per affrontare il viaggio, viene detto loro che l’arrivo alla destinazione prestabilita (di solito i paesi occidentali Europei, come la Germania) è garantita. Dal momento in cui sono “presi in carico” dalle forze bielorusse, non hanno molte possibilità di scelta. Vengono trasportati al confine polacco (o lituano) e forzati ad attraversarlo. Spesso in quel momento scoprono che c’è qualcosa che non va e che il viaggio non sarà semplice. Sono costantemente sottoposti a informazioni false.

Il 2 settembre la Polonia ha dichiarato lo stato di emergenza in tutti i comuni di frontiera, costituendo una zona interdetta di circa 3 kilometri di profondità dalla frontiera. A parte i militari e la polizia, solo la gente del posto è autorizzata a muoversi lì. I giornalisti non sono ammessi, le ambulanze nemmeno. Dall’inizio di dicembre, poiché non era legale prolungare ulteriormente lo stato di emergenza, il governo polacco ha approvato un nuovo regolamento che mantiene le stesse restrizioni con un nome diverso.

Ora, teoricamente la stampa è autorizzata, ma solo con un permesso speciale, sotto una stretta osservazione e controllo delle autorità. Il divieto dei giornalisti rende più difficile documentare il dramma. Non sappiamo quante persone sono morte, i viaggiatori parlano spesso di corpi che hanno visto. Forse non sapremo mai la verità, perché i corpi spariranno diventando parte della natura, dopo che la neve si sarà sciolta in primavera.

A Novembre i voli si sono fermati, quindi ci sono meno persone che arrivano. Ma ci sono ancora persone nella foresta. Alcune stanno ancora arrivando, in qualche modo.

3. Risposte

L’organizzazione dal basso No Borders Team, che riunisce attivistx anarchicx da tutto il territorio polacco, collabora con tutti gli altri gruppi che forniscono aiuti umanitari.

Alcunx di noi conoscono già il problema delle migrazioni da altre rotte, o da precedenti ondate di migrazioni arrivate in Polonia. Lx rifugiatx non sono mai statx benvenutx dal governo polacco. Alcunx di noi sono attivistx da molto tempo, ma in diverse aree di azione. Ci sono alcune ONG che si riuniscono in Granica Group. C’è un enorme lavoro portato avanti dallx abitanti della zona interdetta. Alcunx all’inizio credevano nella narrazione del governo per cui lx migrantx sono pericolosx, che sono terroristx o zoofilx. Ma quando hanno visto famiglie affamate e infreddolite, non hanno potuto fermare i loro cuori e hanno deciso di portare zuppa, te caldo, vestiti asciutti a quelle persone. Alcunx hanno aperto le loro porte, invitato ile migranti a scaldarsi prima di continuare il viaggio.

In molte città le persone hanno raccolto il materiale necessario al confine, moltx partecipano all’organizzazione [delle staffette], nello smistare le cose e trasportarle verso Est.

Le persone dopo molti giorni nella foresta hanno bisogno di acqua, cibo, vestiti asciutti, materassini, sacchi a pelo. Spesso, e soprattutto sul versante bielorusso, ma non solo, le autorità rompono o rubano loro telefoni, schede SIM, in modo che non possano contattare nessunx. Le power-bank cariche sono di solito nella lista delle prime necessità. Si lotta contro il freddo, soprattutto di notte. Non possono fare grandi fuochi, per non attirare l’attenzione dei militari.
Anche noi dobbiamo essere invisibili.
Hanno anche bisogno di contatto con altri esseri umani che non abuseranno di loro. Spesso, quando andiamo ad aiutare, sono preoccupati che qualcuno possa chiamare le guardie di confine, che significa espulsione immediata.

A volte una zuppa calda e un paio di scarpe significa vita.

Per coloro che sono troppo malatx o troppo deboli per seguire il loro percorso, c’è un’ambulanza autogestita in servizio. Che però non può entrare nella Zona interdetta, quindi in quei casi solo i residenti locali possono far uscire i feriti dalla Zona, in modo che l’ambulanza possa arrivare. Perché non l’ambulanza statale? È successo in alcune occasioni che prima dell’ambulanza statale arrivassero le guardie di frontiera e invece dell’ospedale, quelle persone fossero ributtate nei boschi.
Con la nostra ambulanza amica, almeno siamo sicurx che arriveranno all’ospedale, per quanto tempo, non lo sappiamo.

A volte le persone sono troppo stanche per provare a continuare il viaggio verso ovest e decidono di chiedere asilo in Polonia. Ufficialmente loro dovrebbero stare qui almeno mentre la procedura è in corso. Ma nella maggior parte dei casi, le loro domande finiscono nel cestino. Le Guardie di Confine vengono e a volte anche contro il parere dei medici, portano le persone oltre il confine, in Bielorussia.

Molte persone fanno l’impossibile per aiutare. I medici alla frontiera (Medycy na granicy) verrebbero oltre i loro regolari turni di lavoro, per fare il servizio alla frontiera e poi, tornare al loro lavoro. Lx attivistx rischiano la loro salute e sicurezza, si espongono al sistema. Un immenso sforzo organizzativo tiene tutto insieme.
Attivistx, medici e migranti, non solo affrontano il controllo dei militari e della polizia, l’abbassarsi delle temperature, le tecnologie ostili, ma anche la minaccia dei fascisti, che agiscono sotto la propaganda dei governi. I medici hanno trovato la loro ambulanza con le gomme sgonfie e pochi giorni dopo cinque auto private sono state distrutte a colpi d’ascia. I fascisti fanno anche delle ronde e derubano e picchiano ile migranti che trovano. Le Forze di Difesa del Territorio sono responsabili di almeno due attacchi ad attivistx. Questi sono però casi marginali. Spiacevoli, ma minuscoli, in confronto all’incredibile forza delle persone che resistono a governi ostili, resistono a regole di frontiera ingiuste e disumane, all’oppressione statale, alla geopolitica coloniale, alla manipolazione, alla distorsione, all’odio.

La solidarietà e l’organizzazione dal basso sono la prova che non tutta la speranza è perduta, e che possiamo e che rispondiamo, con i valori umani e azioni umane contro tutta l’insanità e i crimini della politica.

Pubblicato in Comunicati | Commenti disabilitati su Aggiornamenti dal confine fra Polonia e Biellorussia_Nessuna Frontiera

CRITICA FEMMINISTA ALLA MEDICINA E SCIENZA POSITIVISTA IN TEMPI DI PANDEMIA

                                   
CRITICA FEMMINISTA ALLA MEDICINA E SCIENZA POSITIVISTA IN TEMPI DI PANDEMIA
        
A partire da una discussione sull’imposizione del green pass tra compagn* antiautoritari* donne, lesbiche, persone non binarie, siamo giunte inevitabilmente ad affrontare il rapporto tra i nostri corpi e la scienza positivista, di cui la medicina è uno dei principali prodotti, ritornato sempre più invasivo durante la gestione statale della pandemia. Il metodo che abbiamo seguito è quello di un confronto che incroci le proprie esperienze personali con le tensioni individuali che ciascunx mette nell immaginare un mondo diverso, nel quale corpi e soggettività non conformi possano convivere in relazioni di cura reciproca. Un incrocio che nella società in cui viviamo, anche a partire dal riconoscimento delle nostre situazioni di privilegio di cui finiamo per avvantaggiarci, riconosciamo spesso lastricato di contraddizioni: pur consapevoli di ciò, oggi ancor di più, di fronte alle misure emergenziali della pandemia, sentiamo l’urgenza di posizionarci a partire da una critica radicale alla scienza positivista e alla medicina. 
        
L’auspicio è che il ravvivare discussioni su questi temi, in queste nubi di rassegnazione e sperdutezza che circondano questi tempi, riaccenda la lotta avendo più chiari nemici e alleat*.
        
Il ponte dal green pass alla medicina
        
È oramai chiaro che il green pass è il nuovo strumento di controllo e ricatto che segna una linea netta tra integrati ed esclusi dalla vita economica e sociale ufficiale. Infatti, è da subito risultata chiara a tuttx la natura economica di questo ricatto con riferimento all’obbligatorietà del green pass sul posto di lavoro: se non ce l’hai non puoi lavorare; se opti per i tamponi perché non ti vuoi vaccinare, una parte del tuo stipendio è spesa in quello. Questo significa prendere la gente per fame. Ma di questo ricatto, come non bastasse, non è tralasciabile nemmeno la natura sociale di più ampia portata, con riferimento alla fruibilità dei mezzi di spostamento per le lunghe percorrenze e agli spazi della socialità. Proprio rispetto a questi ultimi, è amaro realizzare che tra i primi ad adattarsi all’obbligo di richiedere il green pass all’ingresso, spesso senza troppo questionarne pubblicamente le implicazioni, siano stati spazi di movimento che si proclamano antiautoritari o libertari. 
        
Nel corso delle diverse discussioni sin qui avute tra noi, abbiamo tentato di scindere le considerazioni sul green pass, come strumento di controllo statale e pressione sociale che scarica ogni responsabilità sux singolx individux, da quelle sul vaccino, prodotto di medicina e tecnologia la cui assunzione o meno è in linea teorica demandata alla libera scelta individuale. Tuttavia, se siamo giunt* inevitabilmente a discutere del nostro posizionamento, da femministe, rispetto alla scienza medica, ciò è dovuto al legame imprescindibile voluto e creato dallo Stato tra green pass come chiave d’accesso alla società e vaccinazione e alla contestuale propaganda di fede nella scienza legata a questi ultimi. Questa situazione ci appare perfettamente coerente con un sistema capitalista che è causa del virus e produttore del suo rimedio: si esime da ogni responsabilità su questa pandemia e sugli effetti della vaccinazione sperimentale di massa, riversandola in toto su quei singolx individux che scelgono di autodeterminarsi nella scelta di (non) vaccinarsi. 
        
Abbiamo deciso di non entrare, anche per mancanza di competenze sul tema, nel merito di questioni specifiche sulle tecnologie sperimentali di questi nuovi prodotti della scienza o sulle loro possibili conseguenze. Pur consapevoli, tuttavia, che esiste ed è comunque centrale il tema degli effetti che certe sperimentazioni o applicazioni scientifiche possono produrre sui corpi che le subiscono e sull’ambiente circostante e di come tali strumenti potrebbero essere riutilizzati per fini diversi da quelli attuali.  
        
Durante la discussione sono poi emersi diversi interrogativi. Anche se alcuni sono rimasti in sospeso e altri non hanno ricevuto una risposta univoca che possiamo sintetizzare qui, pensiamo possa essere comunque utile riportarli per restituire una complessità del presente che pensiamo esista. Abbiamo voluto riconoscerla e mantenerla, contrariamente a chi, avallando il gioco dello Stato oppure per bieca ideologia, ci sembra ridurre questa complessità a una semplicistica alternativa binaria: “pro-vax” contro “no-vax”. Possiamo in certe circostanze intendere quella di autodeterminarci sulla scelta vaccinale o sulle cure mediche come una possibilità connessa a un privilegio abilista o di classe, cioè legato al proprio stato di salute o alle concrete possibilità di accesso a strutture sanitarie o della qualità delle cure su un dato territorio o della possibilità di accedere a cure e stili di vita alternativi? Quali pratiche femministe è possibile recuperare per affrontare la pandemia e quali per una lotta contro gli strumenti del potere? Chi paga il prezzo delle sperimentazioni di medicina e tecnologia su animali e persone? Una critica radicale alla scienza positivista e alla medicina può esserci preclusa per il solo fatto di averne usufruito e tratto talvolta beneficio o sollievo nella nostra vita? 
        
Quelli che riportiamo di seguito non sono che alcuni spunti di ragionamento sparsi, da dentro e su una realtà estremamente intricata nella quale ci muoviamo, a partire da una prospettiva antipatriarcale e non binaria. 
        
Medicina patriarcale e corpi ribelli
        
La  storia della nostra sfiducia al sistema medico-scientifico comincia con la nascita stessa della medicina e della scienza positivista, poichè è tra le classi privilegiate e nel patriarcato che affonda le sue origini: per ciò non può che esser nemica di chi è oppress*. Dalla caccia alle streghe alle origini del potere ginecologico sui corpi delle donne per il controllo della sessualità e della riproduzione, il monopolio medico occidentale con cui ancora oggi ci troviamo a fare i conti è anche il risultato della depredazione della conoscenza dei propri corpi e del furto dei saperi di cura delle donne, in particolare provenienti dalle classi più povere. Il controllo e la gestione dei corpi è sempre stata una prerogativa per la preservazione del potere egemonico, prima dalla chiesa, poi dalla borghesia capitalista, poi dagli Stati e poi dai potenti del mercato globalizzato: dalla matrice religiosa a quella medico-scientifica (spesso rivali e talvolta alleati) un tratto comune di questa prerogativa è senz’altro il potere patriarcale. Sempre di più nel mondo globalizzato, il controllo della popolazione diventa un presupposto imprescindibile per il capitalismo: la mobilità mondiale è controllata dal sistema frontiere, così come la riproduzione attraverso campagne e sperimentazioni di massa che passano dal sistema medico. Ieri come oggi, un’attribuzione conformata e binaria dei ruoli di genere continua a essere funzionale al controllo capitalistico della  popolazione in rapporto alle risorse.
        
Infatti, la necessità del capitalismo di instaurare un proprio sistema di  controllo dei corpi attraverso la scienza e la medicina è un’altra faccia della medaglia di quell’oppressione patriarcale che vorrebbe far rientrare nel binarismo corpi, identità, soggettività, sessualità non conformi: corpo sano/corpo malato così come uomo/donna madre. Ci viene quasi automatico infatti il parallelismo nei rapporti tra autorità medica e paziente e tra patriarcato e soggettività non conformi: al centro del parallelismo c’è il nostro corpo. Non dimentichiamo che espressione del potere medico è anche stigmatizzare, stabilendo, su presupposti di fede scientifica,  cosa è sano e cosa è malato. A riconferma di ciò, basti ricordare che le persone omosessuali fino a poco tempo fa e le persone trans tutt’ora, venivano e  vengono considerate patologiche dalla medicina a livello ufficiale (vedi “disforia di genere”) e che in ragione di ciò i propri corpi e identità vengono ancora oggi sottoposte a processi medicalizzanti. 
        
Storicamente, le lotte femministe per la liberazione delle donne hanno riconosciuto nel sistema capitalistico medico e tecnologico un nemico, in quanto fautore dell’oppressione eteropatriarcale. La lotta delle Rote Zora, spesso citata negli ultimi tempi, ha incluso molteplici attacchi all’ingegneria genetica e al potere medico, sempre a partire dal più ampio obiettivo di distruggere un sistema di potere patriarcale a ogni livello: 
“le Rota Zora partecipano in maniera attiva dal 1982 con svariati attacchi esplosibi e incendiari al movimento delle donne contro le ecnologie genetiche e riproduttive e contro la politica demografica. Questo movimento critica in chiave femminista il rogresso scientifico attorno alla genetica umana e alle biotecnologie” (Rote Zora guerriglia urbana femminista, pag.98).
In questa come in diverse altre esperienze di lotta antipatriarcale contro il sistema medico, parallelamente all’attacco agli strumenti di oppressione in mano al potere, vi erano anche percorsi di riappropriazione delle pratiche di autocura e di autoconoscenza del proprio corpo. Cioè, di quelle stesse pratiche messe al bando da una scienza medica che, quando si spaccia per preventiva o per curativa che sia, propina a tutta la popolazione indiscriminatamente la medesima terapia, a prescindere dalle differenti soggettività cui è indirizzata, in modo oggettivo e oggettivizzante, ponendosi come obiettivo la sparizione rapida dei sintomi per affermare il ritorno di un corpo (apparentemente) sano e produttivo. Tutt’ora, nel tentare di abbattere quella medicina oggettiva e oggettivizzante di tutti i corpi imposta dalla religione della scienza, emerge l’urgenza di creare relazioni di cura e recuperare saperi che sappiano invece rispettare le diverse soggettività con le loro differenti esigenze. 
        
        
Individux  contro il paternalismo
        
Crediamo nell’importanza di poter liberamente affermare le nostre fragilità,  quando e come riteniamo, crediamo  che non sia sindacabile la nostra decisione e che sia doverosa una cura e un rispetto di quelle altrui. Il paternalismo è da sempre nemico di tutto questo approccio alla vita.
Dall’inizio della pandemia, la retorica propagandistica sulla tutela delle <persone fragili> è stata centrale nel far leva sulla ricerca di consenso di misure quali lockdown e vaccinazione. Lo stato ha messo in atto, in maniera strumentale, un atteggiamento paternalista e infantilizzante nei confronti della popolazione: in particolar modo si è parlato in nome e per bocca delle persone considerate         fragili sulla base dell’età o dell’esistenza di patologie pregresse, oggettivizzando sia la loro condizione di “fragilità” sia ciò che rappresentava la tutela della loro salute, senza che ci fosse spazio per una loro presa di parola, per la loro  autodeterminazione. Così come accaduto in questo caso, in altre situazioni e contesti la condizione di “fragile” è stata associata alle donne, puntando a giustificare così una serie di strumenti paternalisti di tutela che hanno l’effetto di delegittimare ogni scelta individuale diversa di autodifesa.        
La salvezza della mera vita biologica è stata quindi posta a priorità assoluta nell’interminabile emergenza, producendo una condizione di terrore, nella quale non c’era e tutt’ora non c’è spazio per priorità valoriali diverse da una sopravvivenza in stato di isolamento, per l’autogestione della propria salute, per la messa a critica e ricerca di altre soluzioni e vie possibili per se stess*. Il controllo, la coercizione e l’isolamento ci vengono ripetutamente presentate come uniche strategie di salvezza. 
        
Crediamo che a nessuno può spettare un giudizio di valore alcuno, né in un verso né nel suo opposto, sulle scelte individuali, peraltro così profonde e spesso difficili, rispetto alla relazione di ciascun* con la malattia e con la morte. Non può spettare a nessuno se non a sè stess*. Perciò, tantomeno crediamo che questo possa spettare a una scienza nemica che si pretende egemonica. 
Lo stesso ragionamento lo applichiamo rispetto alla scelta individuale di ciascunx di vaccinarsi o meno, così come di servirsi della medicina o meno, poiché ciò per cui lottiamo è proprio il contrario, cioè la nostra autodeterminazione, pur sempre dentro la società capitalista nella quale siamo immers* fino al collo insieme alle nostre contraddizioni. E molto spesso esistono sistemi diffusi di oppressione verso i quali è quantomeno più urgente difendersi (razzista, sessista, transfobico, classista, ecc..). Quello che però ci pare evidente è la realtà allarmante di come l’imposizione ricattatoria del vaccino e lo stigma sociale nei confronti di chi sceglie di non vaccinarsi ricalchino le stesse modalità ben note a cui la scienza medica da sempre ci sottopone, più o meno a seconda dei periodi, togliendo sempre più spazio alla libertà di scelta sui propri corpi. 
Conclusioni
Le lotte femministe del passato al grido de “Il corpo è mio e decido io” e “Stato e chiesa fuori dalle mutande” ci parlano ancor più forte nell’oggi e non crediamo che di fronte a una pandemia questi slogan perdano di senso. Al contrario, dovremmo recuperarli e farli ancor più nostri ora, affinchè le lotte che tante e tant* hanno  portato avanti per la liberazione e l’autodeterminazione dei nostri corpi non siano state vane. Crediamo che soggettività e corpi non conformi non possano che essere alleat* in questo, al di là di ogni scelta individuale o necessità da cui è mossa, e organizzarsi per difendere la libertà di decidere per i nostri corpi. Convinte che se ciò non avverrà, il capitalismo ci avrà schiacciate una volta di più.
Contro la medicina capitalista e patriarcale
Per l’autogestione dei nostri corpi
positiva ma non positivista
*questo testo è stato elaborato e scritto, prima della previsione del super greenpass, ecco perchè non viene nominato.  Non vuole in ogni caso essere un testo esaustivo sull’argomento, ma la trascrizione di una parte della discussione che è ancora in corso e da cui speriamo emergeranno altri contributi. Sono benvenute critiche e commenti.
Pubblicato in Comunicati | Commenti disabilitati su CRITICA FEMMINISTA ALLA MEDICINA E SCIENZA POSITIVISTA IN TEMPI DI PANDEMIA

CONTRO LA PANDEMIA DELLA REPRESSIONE SOLIDALI CON CHI LOTTA

Di seguito volantino distribuito il 13.11.21, duranto il corteo contro la repressione indetto dal comitato dei disoccupati 7 novembre

Contro La Pandemia della Repressione Solidali con chi Lotta

Che cos'è la caccia alle streghe?

A un anno e mezzo dall’inizio dello stato d’emergenza sanitario, a pagare i mali di questa società capitalista e patriarcale sono sempre di più sfruttate e oppresse di questo mondo, istigate dallo Stato ad additarsi l’un l’altra come untrici. Lo Stato e i suoi scienziati vorrebbero far ricadere ogni colpa su chi protesta e si ribella nelle piazze, nei luoghi di lavoro, dentro le gabbie e alle frontiere di questa società, su chi sceglie di non vaccinarsi, su chi si ribella al ricatto del green pass.

A noi invece è molto chiaro chi sono i veri responsabili

La caccia all’untrice e un giudizio moralizzante sull’agire del singolo individuo sono oggi ulteriori strumenti repressivi, oltre ai soliti di natura giudiziaria, che puntano a dividere e spezzare le lotte. Repressione giudiziaria che si è acuita durante l“emergenza”: dagli attacchi a chi ha portato la sua rabbia in piazza o sui luoghi di lavoro, alle operazioni repressive come quella (l’ennesima) antianarchica che negli ultimi giorni ha portato ad arresti e perquisizioni, ancora una volta per l’accusa (oramai di moda nelle procure…) di istigazione a delinquere con finalità di terrorismo.

In questi tempi non possiamo rassegnarci, ma reagire agli attacchi dello Stato.

Da sempre, Stato e padroni vanno a braccetto nella produzione di un mondo tossico e nocivo. Anche le misure prese in questa pandemia hanno avuto come obiettivo la tutela dei profitti del capitale, non di certo la nostra salute.

Possiamo davvero pensare che l’unica alternativa possibile sia tra l’accettare di essere sfruttatx sul posto di lavoro oppure criminalizzatx quando non partecipi del sistema “legale” di produzione e messa a profitto delle nostre vite?

È molto di più ciò che vogliamo per noi stessx e che ci dobbiamo riprendere.

Durante questa pandemia, quando ad alzare la testa sono statx lx ultimx della società, lo Stato non ha risparmiato i suoi colpi peggiori. Non dimentichiamo che alle rivolte nelle carceri del marzo dell’anno scorso, da Santa Maria Capua Vetere a Modena, la risposta è stata una strage, nella quale 14 persone detenute sono morte, e molte altre sono state massacrate. Mentre lo Stato, come è ovvio, autoassolve se stesso e i propri vertici, su tutta la penisola continua la repressione giudiziaria delle rivolte: di questi giorni è la notizia delle indagini a carico di 70 detenuti per devastazione e saccheggio e altri reati legati alla rivolta nel carcere di Modena.

Non dimentichiamo nemmeno le centinaia di persone migranti che durante la pandemia lo Stato ha ingabbiato e isolato sulle Navi Quarantena, un dispositivo di detenzione che moltiplica e allarga la frontiera. Anche sulle navi quarantena non sono mancate rivolte e proteste, passate sotto silenzio.

Poiché vorremmo un mondo senza galere, né frontiere, non possiamo che esser solidali con loro.

Come persone che il patriarcato vorrebbe piegare e opprimere, ci troviamo quotidianamente a dover lottare per la libertà, la salute e l’autodeterminazione dei nostri corpi. Ci rendiamo bene conto oggi che, in modo sempre più diffuso, scegliere per il proprio corpo è motivo di repressione nel falso nome di una scienza patriarcale che da sempre vuole imporci la sua autorità.

Stato e patriarcato fuori dalle nostre vite

Per l’autodeterminazione e l’autodifesa dei nostri corpi

Solidali con chi alza la testa ed è colpitx dalla repressione

Pubblicato in Comunicati | Commenti disabilitati su CONTRO LA PANDEMIA DELLA REPRESSIONE SOLIDALI CON CHI LOTTA