Un Marzo di Lotte

A qualche giorno dall’otto marzo, centinaia e migliaia di donne si sono riversate nelle strade del Regno Unito. L’ennesimo femminicidio, l’uccisione di Sarah Everard, 33 anni, questa volta per mano di un poliziotto, è stato la scintilla che ha fatto traboccare un vaso colmo di rabbia ed esasperazione. Al grido di Reclaim these street, a denunciare violenza su donne e soggettività dissidenti si trovano insieme donne, lesbiche, trans* nere e migranti, che da sempre denunciano la violenza selettiva che lo stato patriarcale e razzista fa sui loro corpi, e donne bianche che non credono più alla favola della polizia che protegge. Questa stessa polizia che le ha picchiate e ammanettate a terra mentre manifestavano la loro rabbia e il loro dolore per Sarah e tutte le altrx, con la scusa di proteggerle dal rischio sanitario, beninteso.
É in questi momenti che si fa ancora più chiaro come lo stato e la sua emanazione coercitiva e repressiva, la polizia, non sono certo lì a proteggere noi, ma sono costruiti sulle logiche che ci opprimono e sfruttano e ne sono diretta espressione.
Tutto questo non può che risuonarci, qualche giorno dopo un otto marzo che dall’anno scorso assume nuovi significati. La data che da alcuni anni è stata risignificata dalle femministe e transfemministe di tutto il mondo come lo sciopero dalla violenza patriarcale in tutte le sue forme, dal lavoro produttivo e riproduttivo, lo sciopero contro la violenza di genere e del genere, oggi è anche l’anniversario dell’inizio della vita in regime di pandemia e anniversario delle rivolte in carcere e della conseguente strage di Stato del marzo 2020.
Le diverse piazze che si sono tenute in contemporanea questo 8 marzo, dalle piazze femministe nelle varie città ai presidi e saluti sotto le carceri, non sono distanti così come ci vorrebbero far credere, ma sono intrinsecamente connesse: perchè non può esistere un femminismo intersezionale che non sia anche anticarcerario.
A Roma si è tenuto un presidio, passato ovviamente sotto silenzio dai media, che ha ricordato la strage di stato dell’8 Marzo del 2020. In quelldata, un anno fa, nelle carceri di Modena, Rieti e Ascoli, come in molte altre prigioni nel paese, detenuti e detenute si sono rivoltati/e per le proprie condizioni detentive esasperate dal Covid. 14 di loro sono stati ammazzati dalle botte e dai colpi esplosi dalle guardie. 
La narrazione dello stato e dei suoi pennivendoli non ha tardato ad arrivare, affermando che quelle 14 persone erano solo delle sbandate che hanno approfittato di un momento di ribellione per drogarsi, fino a provocarsi una morte per overdose da metadone.
Ovviamente chi è sces* l’8 marzo a Roma a queste parole non crede in minima parte. 
Conosciamo il carcere come struttura di morte e sopraffazione, abbiamo amici e amiche rinchius* dietro quelle sbarre e tanto tempo fa abbiamo abbandonato l’idea di una galera umana e di uno Stato buono e giusto.
Queste 14 persone sono state uccise perché hanno alzato la testa, perché hanno provato a gridare al di fuori di quelle mura gli abusi e le condizioni in cui sono obbligate a vivere. Lo stato ha reagito esattamente come reagisce il marito che perde il controllo sulla moglie: picchia duro, comanda con il bastone ed infonde paura fino ad arrivare ad uccidere. 
Lo stato quando deve estrarre valore da noi o sfruttarci meglio può sembrare un padre buono ed amorevole ma nella realtà è un subdolo maschio frustrato che davanti a chi non piega la testa è brutale e violento. Cosi’ a chi si è rivoltatx in carcere sono toccati proiettili, botte, trasferimenti punitivi e processi. 
Lo vediamo anche qua a Napoli, dove nel giro di un anno la polizia ha ucciso due ragazzini sparandogli alle spalle, e c’è stato chi ha avuto il coraggio di dire ”se la sono cercata, erano poco di buono”. Il piano del discorso ruota tutto intorno alla criminalizzazione di Ugo, Luigi e delle loro famiglie, non una parola viene spesa per infamare chi si arroga il potere di vita e di morte su vite marginali. 
Vi ricorda qualcosa? A noi ricorda l’opinione di sbirri e giudici sugli stupri, ad esempio. “Aveva la minigonna, lo stava provocando, se l’è cercata”. È proprio di queste settimane la notizia dell’archiviazione del caso dello stupro avvenuto ormai due anni fa nella stazione della circumvesuviana a San Giorgio a Cremano, con la gogna mediatica che sempre accompagna queste notizie. Accade mentre in altri palazzi la giustizia decide di lavarsi le mani della strage avvenuta a Modena, chiedendo l’archiviazione per il caso della morte di Salvatore Piscitelli, lasciato agonizzare in cella dai suoi stessi aguzzini. In tutti i suoi apparati, dai tribunali all’amministrazione penitenziaria, lo stato protegge stupratori e assassini. 
Ci insegnano che l’unica violenza legittima è quella dello stato, che ogni giorno uccide, violenta e opprime. Le urla di chi scende in strada a gridare il dolore per un’ennesima sorella ammazzata, le resistenze di chi è recluso/a, nelle carceri, nei cpr, sulle navi quarantena, nei reparti psichiatrici e in ogni altro luogo di contenzione sono un grido di coraggio e di forza che non vogliamo ignorare. I quattordici morti di Marzo, le migliaia di persone morte alle frontiere, le donne e le identità dissidenti alle norme di genere ammazzate dai loro “amorevoli cari” gridano vendetta. 
Contro ogni gabbia, 
riprendiamoci le strade
Tuttx liberx
Femministe, lesbiche, queer contro tutte le galere
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