STREGHE DI IERI, STREGHE DI DOMANI (e tante domande sull’oggi)*

“Ha paura. La paura ha odore più forte degli aghi di pino sul sentiero della  foresta.
La terra fuma dopo la pioggia di primavera. Il suo cuore è più rumoroso dei muggiti dei pascoli comunali. L’anziana porta al braccio un cesto di erbe e di radici che ha da poco raccolto, vecchio come il tempo.
I suoi piedi sul sentiero sono gli stessi di sua madre, di sua nonna, delle sue antenate. Sono secoli che cammina tra le querce e i pini, a raccoglier erbe per poi farle seccare sotto la tettoia della capanna, costruita nelle terre ancora comuni. Dacché ha memoria la gente del villaggio la va a trovare per il dono che ha nelle mani, guaritrici, le stesse che posizionano al meglio il bambino nel ventre della madre all’ora della nascita, la sua stessa voce calma che allontana le sofferenze e culla l’insonne fino al riposo.”
(Il tempo dei roghi, pag.3)

La nascita della scienza moderna, della professione medica e la caccia alle streghe:
perchè rievocarle?

Per stimolare una discussione attuale sull’idea che abbiamo di tutela della salute da un lato e sulla nascita del sistema medico-scientifico patriarcale dall’altro, guardare alla storia del passato ci è sembrato un buon punto di partenza per tentare una lettura del presente. Non abbiamo la pretesa, nè saremmo in grado al momento, di restituire questa storia nella sua enorme complessità in questo testo, ma ci è sembrato utile avere in nota qualche breve riferimento storico da utilizzare come spunto di riflessione. L’intreccio tra la storia della repressione delle streghe, donne appartenenti alle classi sociali più povere, e la nascita della professione medica, della scienza moderna, del capitalismo spiegano in parte il perchè definiamo il sistema medico scientifico occidentale come patriarcale sin dalle sue origini. Da qui, una delle ragioni della sfiducia nei suoi confronti a cui cerchiamo di contrapporre una nostra visione e pratica di salute, sia individuale che collettivo.

La medicina come “professione” si affermava in Europa nel XIII secolo, come una scienza di estrazione universitaria, sviluppata dalle classi agiate per le classi agiate, avallata dal beneplacito della Chiesa e delle autorità ecclesiastiche. Alle donne provenienti dalle stesse classi urbane elevate fu deliberatamente precluso l’accesso alla professione medica ufficiale, così come dagli studi universitari, attraverso una vera e propria campagna di esclusione. Le donne che decidevano comunque di esercitare la pratica medica venivano accusate di pratiche illegali e processate. Al termine del XIV secolo, l’esercizio della medicina ufficiale si affermava definitivamente nelle città e nei ceti agiati come una professione esclusivamente maschile. Trattandosi di una scienza sviluppata a partire da basi del tutto teoriche, le pratiche utilizzate risultavano spesso non solo inefficaci, ma anche dannose e più simili a delle torture (si pensi a pratiche come il salasso o l’impiego delle sanguisughe).

Se tra le fila borghesi sorgeva a livello ufficiale la professione medica, una larga schiera di guaritrici e guaritori esisteva da sempre tra le classi contadine e più povere. L’impiego del metodo empirico e delle conoscenze erboristiche rendeva questi saperi molto più efficaci nella loro applicazione pratica. A essere etichettate         streghe nel periodo medioevale furono proprio (ed esclusivamente) le donne guaritrici delle classi contadine, detentrici di saperi di medicina popolare e ostetricia.

Poiché il numero di medici ufficiali non era certo sufficiente a coprire un’elevata domanda di assistenza sanitaria, è noto che nelle prime fasi ancora disorganizzate della nascita della professione medica, continuava a essere frequente il ricorso alle guaritrici non ufficiali anche tra le classi più agiate, sia per necessità, sia perché maggiormente economico e conveniente. Non è difficile immaginare, applicando le lenti del nostro presente, che si fosse creato allora una sorta di doppio binario, formato di medici ufficiali pagati a caro prezzo da un lato e da guaritrici clandestine sfruttate dall’altro.
Quello che va sotto il nome di caccia alle streghe è un vero e proprio genocidio, avvenuto in Europa, in un arco temporale molto lungo che va dal XIV al XVII secolo. È importante dire che di quella storia non è giunta sino a noi una narrazione diretta per stessa penna di chi l’ha subita, le streghe, ma, laddove non mistificata o ridotta a una questione di folklore dalla storia ufficiale, è stata restituita in parte da indagini e ricostruzioni storiche di impronta femminista. Nominare la caccia alle streghe come la storia di un vero e proprio genocidio è un atto di restituzione storica, che per la sua portata rivela quanto queste donne fossero scomode al potere in un periodo storico di transizione verso il capitalismo. Per comprendere perchè quello dell’eliminazione della magia e superstizione fu pretesto per un genocidio così atroce, ci aiuta il constestualizzarlo brevemente nella sua epoca.

La caccia alle streghe si inserisce infatti in un contesto storico ampio e complesso:
in Europa, con il fenomeno delle Enclosures, cioè l’espropriazione di massa delle terre ai contadini e la loro privatizzazione, si avviava un cambiamento epocale; parallelamente, oltreoceano, la conquista europea delle Americhe avveniva attraverso uno sterminio di massa, giustificato da credenze ideologiche e religiose che marchiavano i popoli originari come inumani e pericolosi. Nel XVI secolo, infatti, il momento culmine dei processi alle streghe, donne contadine, coincidono con il periodo delle rivolte contadine in Europa contro la privatizzazione ed espropriazione delle terre. Non ultimo, cominciava proprio nello stesso secolo a svilupparsi un nuovo interesse per il controllo della popolazione e della forza-lavoro e, quindi, della riproduzione: il suo controllo doveva diventare appannaggio di statisti ed economisti e il corpo della donna è posto al servizio della popolazione e della produzione. Fu nel XVII secolo che l’ostetricia e l’assistenza a parto e aborto, le cui pratiche e saperi fino ad allora erano detenuti in modo esclusivo dalle levatrici streghe, furono messe al bando, così che l’ostetricia divenne anch’essa una professione controllata e regolata dallo Stato, riservata ai maschi.

Certamente, la caccia alle streghe, fu anche un ottimo strumento per dividere i contadini nel momento in cui venivano loro sottratte le terre: la relazione con la terra durante il Medio Evo, e l’uso collettivo che ne veniva fatto, era infatti molto diverso da quello che sarebbe diventato con la recinzione dei terreni e l’incremento dello sfruttamento della natura finalizzato al profitto. In molti infatti, anche i più poveri, fino a quel momento vivevano dei prodotti della terra, dei piccoli appezzamenti comunali o di quanto poteva essere ricavato dai boschi e dalle foreste. Questo valeva soprattutto per le donne anziane, le vedove, che fino a questo periodo erano tutelate dal diritto consuetudinario, che garantiva loro acesso alla legna e alla sussistenza. Quando si incominciò a recintare le terre e ad espropriare le contadine e le donne anziane del loro accesso a queste risorse, si ebbero atti di insubordinazione e resistenza. In risposta a questo il clima di terrore che si impose nelle comunità contadine con l’insinuarsi della minaccia della stregoneria, agì da deterrente. Ad essere accusate di stregoneria non erano solo le donne in quanto tali, ma sopratutto le donne degli strati più bassi della società, che private dei propri mezzi di sussistenza, si ribellavano.

Bisogna dire che la caccia alle streghe fu pretesto per una repressione sistematizzata e feroce nei confronti di tutte quelle donne che in qualche modo deviavano dalla norma sociale loro imposta, perchè ribelli (si pensi agli episodi noti di rivolte contadine in Spagna guidati da donne), per la loro sessualità, perchè accusate di adulterio e perchè guaritrici e levatrici illegali. Allo stesso tempo, la scienza medica ufficiale e i suoi dottori uomini ebbero un ruolo determinante e attivo nell’oppressione delle streghe e nella contestuale espropriazione dei loro saperi. Lo stesso Paracelso (1527), considerato il padre della medicina moderna, ammise che tutto ciò che aveva appreso fu non dai trattati universitari, bensì dalle “fattucchiere”.

La mentalità che permise e fece da solida base ideologica alla riuscita, non solo del genocidio delle donne in quanto streghe, ma anche di una trasformazione radicale del mondo, è anche da rintracciare nei filosofi e negli scienziati che costituiscono la base teorica della scienza moderna. Fra questi ebbero un ruolo di prim’ordine Cartesio, Hobbes e Bacone, autori che ancora oggi vengono studiati e apprezzati per averci “liberato” dalla paura “irrazionale” della natura. Le teorie degli “illustrissimi scienziati” (!) dell’epoca fungono da fondamento scientifico-teorico per la campagna repressiva contro le streghe, puntando a screditare ogni sapere legato al corpo e alla salute che non corrispondesse a quello validato dal sistema ufficiale.
Il razionalismo scientifico è stato un veicolo di “progresso” che ci ha portato a quello che è il mondo di oggi, un mondo in cui viviamo alienate dalla natura, in cui il mondo naturale e animale sono concepiti solo secondo una visione utilitaristica e strumentale, un mondo in cui gli eventi naturali sono fenomeni da dominare e controllare. Abbiamo perso la capacità dialogica di riferirci all’ambiente e al mondo vivente come a una parte di noi stesse e, viceversa, di riconoscerci come parte dell’ambiente.
Fra queste teorie alla base della scienza moderna, possiamo prendere ad esempio il meccanicismo, che in sintesi “è una descrizione del cosmo, della società e degli esseri umani intesi come insiemi di parti distinte e separabili, controllabili dall’esterno perché rispondenti a un sistema di leggi di tipo logico-matematico. Questo modello esclude tutto ciò che si presenta incerto e imprevedibile quindi non manipolabile; mette in luce solo le caratteristiche quantitative, semplificabili, della realtà”
(Anna de Nardis https://www.dmi.unipg.it/mamone/sci-dem/nuocontri_3/adenardis.html).
Ciò che non è prevedibile, classificabile o intelleggibile è anche meno facilmente controllabile: l’energia caotica dell’esistente ha sempre spaventato chi detiente il potere. Per il fatto di non rientrare entro propri schemi di razionalità e conoscenza, la medicina delle streghe veniva definita magia o superstizione, nonostante fosse frutto di una scienza empirica ricca di saperi e pratiche efficaci.
La trasgressione delle norme morali, sociali e culturali di ogni epoca storica, in qualsiasi forma avvenga, è un’arma che abbiamo contro la violenza stigmatizzante del pensiero unico imposta dal potere, che divide e separa. Interrogarsi sulla trasgressione e sul limite, su che cosa siamo disposte a cedere, a perdere o a difendere fino alla fine, anche a costo di essere nuovamente escluse ed emarginate, significa interrogarsi ancora una volta sulle nostre identità. Le streghe in questo senso rappresentano per noi la possibilità di riconoscerci dentro a un processo storico che può essere utile per comprendere che anche ai giorni nostri si possono facilmente ritrovare le tracce di violenze già subite. Affondando in profondità e scavando, si può vedere come da sempre i vari dispositivi di potere hanno agito per conformarci a un’idea su chi siamo e su chi dovremmo essere.
Il pensiero scientifico si è tradotto in un progetto di dominio che, avvalendosi dell’apporto dello sviluppo tecnologico, è riuscito ad allontanare l’essere umana dalla possibilità di accedere a una conoscenza altra su se stessa e sul mondo. Bacone, uno dei padri del metodo scientifico, arriva a descrivere la natura come una donna da conquistare, scoprire, violentare. Possiamo vedere nella caccia alle streghe la connessione della “distruzione dell’ambiente e lo sfruttamento capitalistico del mondo naturale con lo sfruttamento delle donne” (Calibano e la Strega pag. 265). L’allontanamento dal mondo naturale è andato di pari passo a una sordità e a un’incapacità di ascoltare i messaggi del nostro corpo e dei corpi altrui, silenziando e reprimendo non solo gli istinti ma anche le possibilità di pensare ad altre forme di intendere la malattia, la cura, la guarigione, la salute.
La stagione della caccia alla streghe si è data in un periodo storico che ha posto le fondamenta della società capitalista, rafforzando al contempo idee classiste e misogine, con le quali dobbiamo convivere ancora oggi.
Nelle epoche successive e nel mondo sempre più globalizzato, l’interesse capitalista per il controllo della popolazione e della riproduzione si è fatto sempre più centrale e, con esso, il livello di invasività sui corpi delle donne e sul controllo di riproduzione e aborto.

Con la strumentalizzazione di questa pandemia globale, il livello di invadenza medico-scientifica e tecnologica dell’epoca attuale, già ormai avanzato e globalizzato, è stato esasperato fino ad arrivare a un punto di non ritorno. Ripercorrere a ritroso questa storia ci sembra un utile strumento per capire come autodifenderci e frenare questa corsa alla trasformazione del potere per il dominio totalizzante dei nostri corpi.
Cos’è la salute secondo il sistema capitalista

Vogliamo risignificare il concetto di salute perché quello che ci è stato imposto dal sistema medico-scientifico patriarcale e capitalista non ci appartiene. Abbiamo provato a riassumere le caratteristiche dei concetti imposti di salute e malattia attraverso le nostre esperienze e conoscenze per poi concentrarci sui significati che vogliamo dar loro in un’ottica transfemminista e non positivista.

Il sistema medico-scientifico ci insegna che salute vuol dire guarire il più rapidamente possibile un sintomo o nascondere un dolore (fisico, mentale, emozionale) per tornare a essere produttivx per la società: siamo delle macchine che devono funzionare ad ogni costo. La medicina settorializza il corpo, e cioè vi si approccia come ad un insieme di pezzi scollegati che, se malfunzionanti, doloranti o rotti, vanno aggiustati, eliminati o sostituiti. La causa del malfunzionamento non viene indagata, per cui una stessa sintomatologia che può avere cause diverse viene trattata alla stessa maniera rendendo spesso il trattamento inefficace.
L’ambiente circostante e le condizioni di vita delle persone non vengono prese in considerazione come cause o concause delle malattie: il corpo viene estratto dal contesto ambientale e sociale in cui vive. Se hai una malattia, la colpa è tua e del tuo corpo. Le lotte ambientali, dall’Ilva alla Terra dei Fuochi, ci insegnano che se il territorio in cui viviamo è inquinato e devastato anche i nostri corpi ne subiranno le conseguenze. Ovviamente, i corpi delle donne e delle persone assegnate femmine alla nascita sono particolarmente colpiti dall’approccio patriarcale della medicina: troppo spesso tutte quelle patologie legate all’apparato riproduttivo di questi corpi non vengono riconosciute e diagnosticate, se non con anni e anni di lotte, ricerche e rimbalzi tra un medico e l’altro.
In generale, la cura del corpo è delegata e affidata a esperti esterni da cui dipendiamo, o crediamo di dipendere, perché non conosciamo com’è fatto il nostro corpo e come curare le malattie che lo colpiscono.

La gestione della pandemia ci fa vedere anche come le misure che sono state adottate (mascherine, distanziamento, lockdown) sono puramente contenitive ed emergenziali, mentre tutto ciò che riguarda la prevenzione e la cura non vengono approfondite nel dibattito pubblico. I telegiornali puntano a terrorizzare le persone con le immagini del disastro sanitario, ma nessuna comunicazione viene fatta su come curarci se veniamo colpitx dal virus, su come prevenirlo rinforzando il proprio sistema immunitario o su come provare a condurre degli stili di vita sani – perché uno stile di vita sano non può esistere in una società capitalista, e il gioco non può svelare le sue regole.

Cosa sono salute e malattia per noi

Per noi salute non ha che vedere solamente con il benessere o malessere del nostro corpo, riguarda anche come questo corpo lo percepiamo o ce lo fanno percepire. La salute riguarda anche come sta la nostra mente, l’armonia dei nostri sentire con tutte le differenti parti di noi stesse, che reputiamo essere interconnesse.
Non crediamo nel binarismo mente-corpo ma ci consideriamo un insieme complesso formato da corpo, mente, emozioni, energia, relazioni e ambiente che ci circonda e la salute riguarda ognuna di queste cose. Intendiamo la salute in una prospettiva ecologica, e cioè di equilibrio tra noi e il resto del mondo vivente. A condizionarla, sono quindi anche i nostri rapporti sociali, il contesto in cui viviamo, l’aria che respiriamo, il cibo che mangiamo, il benessere o malessere dell’ambiente che ci avvolge e che comunica con noi. Allo stesso tempo, salute investe anche le sfere relazionale e affettiva, perché siamo esseri interdipendenti e il nostro benessere dipende anche dalle relazioni che abbiamo e dalle reti affettive che ci circondano, ed è solo attraverso queste reti che ci creiamo che possiamo prenderci cura l’un dell’altrx.
Mettere al centro un’idea diversa di intendere le relazioni, il corpo, l’identità è mettere al centro una diversa idea di salute.

La malattia è quindi un sintomo di un disequilibrio in noi stessx e/o nel mondo, che si rispecchia in noi. Intendiamo la malattia come un indizio da indagare e non un sintomo da silenziare. Crediamo che indagare le cause della malattia e andare ad agire in profondità siano l’unica guarigione possibile.  Indagare le cause significa riappropriarsi di una visione olistica, in cui il bisogno di cura trascende la sola persona ammalata e coinvolge tutto il sistema nel suo insieme.

Cosa intendiamo per autogestione e cura

Crediamo che la gestione della propria salute non sia un problema che vada risolto individualmente. Nella visione dello Stato, tutta la responsabilità della pandemia cade sul singolx fomentando la divisione sociale, amplificando la percezione di solitudine, creando un discorso moralizzante. Così come nelle prime fasi della pandemia forte era il discorso del “siamo tutti sulla stessa barca” – e allora sapevamo bene come questa immagine fosse del tutto falsa – ancora oggi ci viene chiesto di reponsabilizzarci solo sulla base di quelli che sono gli interessi di alcuni (Stato, Confindustria, Case Farmaceutiche etc.). Le conseguenze di queste politiche sono la frammentazione sociale e la lotta tra poveri e la difficoltà di individuare i veri responsabili della pandemia.
Crediamo anche che la gestione della propria salute non si esaurisca nella scelta di adempiere o meno a determinate norme di comportamento dettate dallo Stato. Non ci sono delle norme che valgono sempre. Dopo quasi due anni di pandemia è evidente che adempiere alle norme dettate dallo Stato non basta e a volte è addirittura controproducente, così come non seguire le norme imposte non vuol dire remare contro la salute collettiva.
Autogestione vuol dire ragionare insieme per creare strumenti di cura e tutela basati sul consenso e sulla nostra concezione di salute, in base alle nostre esperienze pratiche e alle nostre condizioni specifiche.
Ci siamo chieste e continuamo a chiederci, come possiamo continuare a condividere spazi di vita e di lotta, col massimo della cura? Sicuramente, non riteniamo valida la gerarchia di priorità che durante questa pandemia è stata imposta: per esempio, il lavoro e la famiglia biologica sono state tutelate e agevolate, a scapito di tutte le altre forme di relazioni, condivisione e attività che riteniamo vitali, tra cui anche l’incontrarsi per continuare a lottare.

Vogliamo mettere in discussione il pericoloso binomio salute-libertà formulato nella gestioene neoliberista di questa pandemia. Le misure come il green pass e l’ormai evidente obbligo vaccinale sono state presentate dagli Stati come il necessario compromesso della libertà dell’individuo in nome della salute della Nazione. Questa concezione limitante nega la possibilità di autodeterminarsi e di dare altri significati alla salute e alla libertà. Su queste basi è stata portata avanti una campagna mediatica e politica contro le persone non vaccinate, creando la categoria sociale dei “no-vax” e utilizzandola come un capro espiatorio da un lato per l’imposizione di ulteriori dispositivi di controllo e dall’altro per scaricare le responsabilità della gestione della pandemia.
L’obbiettivo dello Stato e della scienza di rappresentare i “no-vax” come pericolosi, egoisti, ignoranti che mettono a rischio la salute collettiva e che vanno assolutamente convinti a vaccinarsi, è quello di non dare spazio all’autodeterminazione. Non è contemplato come legittimo il decidere autonomo e consapevole di prendersi cura del proprio corpo in modo diverso da quello “proposto” dalla scienza positivista.
Noi crediamo che anche in questa situazione salute e libertà non siano in contrasto ma anzi vadano insieme. Il fatto che ogni soggettività sia libera di autodeterminarsi sul proprio corpo è parte fondamentale della salute propria e quindi collettiva.
A non avere niente a che fare con la cura della salute sono invece le nuove misure di contenimento dei contagi. L’introduzione del Super GreenPass ci rivela ancora una volta la natura economica e non sanitaria di questo dispositivo. Si è dato libero sfogo ai consumi per le feste, lasciando correre i contagi, che tanto la colpa rimane dei non vaccinati e intanto le tasche del capitale si rimpinzano.

Non vogliamo aderire all’idea di vita che ci impone lo stato perché abbiamo un’altra idea (almeno una a testa) di cosa sia la vita.
La retorica di una guerra da vincere contro il virus sembra essere tutta giocata dagli stati e dai suoi scienziati in termini di numeri di vite salvate: questione di vita o di morte. Questa visione non solo è criticabile, perché il salvare la vita biologica a ogni costo non ci interessa se questa vita non è libera di essere vissuta, ma anche ipocrita. Noi e il mondo attorno a noi moriamo ogni giorno che i potenti del capitalismo sfruttano e devastano le nostre vite e l’ambiente. Il virus così come tantissime altre malattie sono frutto del pensiero dell’onnipotenza dell’essere umano che si considera superiore e slegato dalla natura e di fatto la sfrutta e la distrugge. Per questo, se da un lato è importante costruire insieme strumenti e conoscenze per autogestire la cura e la salute, dall’altro è altrettanto necessario attaccare chi la salute ce la toglie, e cioè un sistema che individuiamo come la vera causa del nostro malessere.
La “salvezza” che ci impongono lo Stato, il capitalismo e la scienza positivista non ci interessa, anzi è esattamente ciò contro cui continueremo a lottare, perché vivere la propria vita è molto meglio che sopravvivere.

*Il contenuto di questo testo è la restituzione della seconda puntata di discussione tra compagnx donne, lesbiche e trans* su salute, pandemia e green pass.

BIBLIOGRAFIA UTILE ALLA PRIMA PARTE DEL TESTO
– Calibano e la strega, di Silvia Federici, 2015
– Le streghe siamo noi, di Barbara Ehrenreich – Deirdre English, traduzione italiana 1975
– Donne al rogo. La caccia alle streghe in Europa, le enclosures, la nascita del – capitalismo, dicembre 2020, disponibile su anarcoqueer.wordpress.com
– Il tempo dei roghi, ?
– articolo di Anna De Nardis https://lnx.ilclic.it/wp/2020/08/19/il-tragico-trionfo-del-meccanicismo-dalla-rivoluzione-industriale-al-covid-19-1a-parte/

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