SU GREEN PASS E FRONTIERE

Nei due testi che hanno preceduto la redazione di questo, abbiamo provato a mettere in discussione l’esistenza e l’imposizione del green pass come misura coercitiva e di disciplinamento, che niente ha a che vedere con la tutela della salute delle persone. Per moltx questo aspetto autoritario della gestione pandemica è diventato tangibile in modo più incalzante a partire dall’introduzione della certificazione verde. Tuttavia, l’uso arbitrario di presunte misure di salvaguardia della comunità per ostacolare il movimento delle persone è una realtà che viene vissuta sulla propria pelle da migliaia di persone senza documenti da ben prima dell’arrivo del covid-19. In generale, la nascita dei dispositivi di controllo della popolazione e dei suoi spostamenti (frontiere, passaporti, leggi sull’immigrazione) si lega alla necessità di creare gerarchie al suo interno tra sfruttatx e sfruttatori. Ci sembra corretto informare che questo testo è scritto a partire dal nostro posizionamento come donne, lesbiche e persone non binarie bianche, antiautoritarie e dotate di documenti e passaporto italiano. In questo contributo cercheremo di tracciare una genealogia della gestione delle frontiere durante la pandemia, provando a ripercorrere le misure che fin dal marzo 2020 sono state prese per difendere i confini degli Stati europei. Passeremo poi a vedere come concretamente sta funzionando il green pass per le persone migranti in alcuni paesi d’Europa, di pari passo con un cambiamento delle politiche migratorie e detentive degli ultimi due anni all’interno della fortezza Europa. In conclusione, ci piacerebbe condividere alcuni spunti di riflessione per la lotta in questa particolare congiuntura. Proteggere il corpo della nazione Fin dal principio della diffusione dei contagi da covid-19, la reazione degli stati europei e su scala globale è stata presentata con i termini di una guerra. Il virus è il nemico da debellare, e per farlo è necessario controllare le frontiere e, all’occasione, chiuderle. A Marzo 2020 questo imperativo si è tradotto nella sospensione del protocollo di Schengen, con un provvedimento applicato il 16 marzo 2020 dall’esplicativo titolo “COVID-19 Guidelines for border management measures to protect health and ensure the availability of goods and essential services”. I viaggi “non essenziali” vengono sospesi, ogni spostamento tracciato tramite autocertificazione, ogni movimento registrato in modo ancora più capillare di prima. Viene ribadito più volte che il trasporto di merci rimane essenziale e deve essere garantito. I beni di consumo viaggiano ancora più veloci grazie al supporto del capitalismo delle piattaforme (ironia della sorte: spesso a lavorare nella logistica sono proprio le persone sottoposte al ricatto dei documenti). La sospensione di Schengen prosegue fino all’estate, quando i vertici dell’UE cominciano a invocare nuovamente l’apertura delle frontiere, in primis per i lavoratori frontalieri. La libera circolazione è necessaria allo sforzo produttivo, che serve al capitale per riassestarsi dopo il colpo iniziale della pandemia. Rilanciare i consumi, far circolare ancora più velocemente le merci e, questa volta, le persone. Vengono applicate misure disomogenee nella riapertura delle frontiere, finalizzate alla circolazione di persone solo per fini turistici, per far riprendere l’industria legata al consumo dei territori come merci gettabili. Rimane un regime di controllo che stabilisce una serie di condizioni per l’attraversamento dei confini, che garantiscono la tracciabilità degli individui: tamponi, passengers location form, altri documenti di questo tipo che registrano l’ingresso all’interno del paese e assegnano a ogni individuo un indirizzo a cui essere reperibile. Per le persone migranti il primo lockdown è caratterizzato dall’eccezionalità nell’eccezionalità. I flussi sono drasticamente ridotti per via della chiusura dei confini, ma il numero di persone bloccate in dei punti permeabili della frontiera europea rimane considerevole. Con l’arresto improvviso della macchina delle espulsioni, si pone il problema di trovare dei luoghi dove “stockare” tutti questi corpi indesiderati. I centri di espulsione si rivelano per quello che sono da sempre, delle prigioni in cui la gente viene rinchiusa sotto pretesto di non avere il giusto pezzo di carta. I CPR diventano allora, come le carceri, dei focolai di contagi, dove la diffusione del virus viene volutamente non gestita, a significare il valore che la vita delle persone rinchiuse ha per chi governa. Come nelle carceri, numerosi sono i gesti di rivolta, collettivi, con proteste e incendi, persone sui tetti, e individuali, da scioperi della fame ad automutilazioni. Contestualmente, i centri di accoglienza assomigliano sempre più a luoghi di prigionia, dove alle persone viene impedito di andare a lavorare anche quando sono negative al virus, cosa che porta la tensione a salire fino allo scoppio di rivolte (1). Nel frattempo, per aumentare la sua capacità di reclusione, lo Stato italiano introduce un nuovo dispositivo di detenzione amministrativa, le navi quarantena. Con la dichiarazione del 7 aprile 2020 si stabilisce che i porti italiani non possono essere considerati “place of safety” per far sbarcare le persone che arrivano dal Mediterraneo. Di conseguenza, vengono utilizzate delle navi da crociera, affittate a diverse migliaia di euro al giorno a compagnie private, dove le persone migranti devono svolgere un periodo di quarantena. In uno spazio chiuso come quello di una nave, i contagi salgono in breve, e le persone si ritrovano recluse per diverse settimane o mesi. Nel frattempo, le attività di selezione ed espulsione che vengono svolte sulla terra ferma negli hotspot vengono delocalizzate sulle navi, e iniziano le deportazioni di alcune persone, in particolare quelle provenienti dalla Tunisia, la cui espulsione è semplificata dall’esistenza di accordi bilaterali Italia-Tunisia (2). Nel tempo, questa misura diventa da straordinaria sempre più perenne. Nell’autunno 2020, il governo italiano firma un contratto per diversi milioni di euro con la compagnia Grandi Navi Veloci – oggi raggiunta anche da Moby – e la Croce Rossa per l’affitto e la gestione delle navi quarantena, che a oggi continuano a circolare nel Mediterraneo al largo di Puglia, Calabria e Sicilia e rinchiudere diverse migliaia di persone in mare aperto. Con l’arrivo dell’estate riprendono le espulsioni e vengono introdotte nuove modalità per la deportazione, come l’obbligo di tampone prima di essere messi di forza su un aereo. In Francia, questo nuovo obbligo viene usato dai prigionieri come mezzo per sottrarsi alla deportazione: rifiutando il tampone, non possono essere caricati sull’aereo. Possono però essere processati penalmente per aver ostacolato la propria deportazione, e finire in carcere (3). In Italia le notizie a riguardo sono più diversificate. In alcuni casi il rifiuto del test funziona come mezzo di dissuasione all’espulsione, in altri casi i prigionieri che rifiutano di farsi testare vengono massacrati di botte e forzati a fare un tampone dalle guardie (4). Un salto di qualità ulteriore viene fatto con l’introduzione del green pass, alla fine dell’estate 2021. Il pass, ottenuto tramite tampone o vaccinazione, fornisce un elemento in più di schedatura degli individui, con delle conseguenze particolari per coloro che non hanno i documenti giusti. Anche nel caso del pass generato per i guariti da covid, quello di potersi segnalare alla ASL – che presuppone il fatto di avere un indirizzo fisso, dei documenti, la volontà di mettersi nelle mani dello Stato – è un privilegio che non tuttx hanno). Senza documenti e senza tessera sanitaria non si ha accesso al green pass. Senza green pass, alcune attività sono vietate. Attraversare una frontiera con un green pass – o senza, perché non si è potuto ottenerlo – rende ancora più visibile l'”irregolarità” di una persona. Dalla Francia è arrivata la testimonianza di persone migranti che hanno avuto problemi con la polizia legati alla loro condizione di “irregolarità sul territorio” dopo aver cercato di ottenere il pass sanitario. Queste persone hanno ricevuto dei controlli dalla prefettura, sulla base di uno scambio di informazioni tra questa e l’azienda sanitaria. Nei ghetti dove vivono le persone migranti che lavorano in campagna il ricatto del vaccino legato alla mobilità e al lavoro, che si somma alla mancanza di documenti, ha spinto moltx a vaccinarsi. In decine si sono sottoposti al vaccino ma a causa della difficoltà a ottenere il tesserino sanitario STP (Stranieri Temporaneamente Presenti) ed entrare nel sistema sanitario nazionale non riescono ad avere accesso al green pass. Per le persone dell’est Europa il problema dell’accesso al green pass si è creato perché moltx sono vaccinatx con farmaci non autorizzati dall’EMA. Per delle persone la cui mobilità è continuamente intralciata, il ricatto del pezzo di carta che adesso vincola la possibilità di spostarsi all’interno dell’Italia ha spinto moltx a vaccinarsi, non per fiducia nello Stato o nei suoi mezzi ma per la coercizione delle condizioni materiali a cui esso le obbliga. L’emergenza come sistema di governo delle frontiere Da questa parziale ricostruzione di come ha funzionato negli ultimi due anni la frontiera e il controllo dei corpi che non possono liberamente attraversarla appare evidente come il modus operandi preveda una perennizzazione della situazione di emergenza che giustifica l’applicazione di normative straordinarie. Non diciamo niente di nuovo, è la legge che vige dall’inizio della pandemia e che sta generalizzando all’intera popolazione forme di controllo sperimentate chirurgicamente per anni su popolazioni marginali, nei campi di detenzione per migranti, alle frontiere. L’introduzione del green pass e il dibattito sulla creazione di un passaporto vaccinale europeo segnano l’imposizione di una nuova forma di schedatura degli individui basata su un criterio medico, che permette l’acquisizione di una serie di dati sanitari e personali. Forme di identificazione sempre più basate su informazioni di questo tipo spianano la strada al riconoscimento legato ai dati biometrici, peraltro già sperimentato in alcune aree del mondo, per esempio nei campi profughi gestiti dall’UNHCR (5). La pandemia ha marcato un precedente nel cambiamento della governance delle frontiere e del discorso a riguardo da parte degli Stati europei e su scala globale. Secondo il report della WHO (World Health Organisation), il covid-19 è stato il primo virus che ha determinato su scala mondiale una chiusura straordinaria delle frontiere sulla base di un criterio medico (6). Il protocollo della WHO siglato nel 2005 prevede che provvedimenti di questo tipo si basino su “principi scientifici” e “prove scientifiche reperibili” – da qui l’esigenza di una sinergia tra chi governa col pugno di ferro e gli scienziati, che forniscono le giustificazioni oggettive delle misure adottate. L’eccezionalità della situazione esplosa tra gennaio e marzo 2020 ha giustificato l’uso massiccio di strumenti di governo eccezionali, tra cui la chiusura dei confini a livello globale e la sospensione dei protocolli di Schengen in Europa (7). Non è un caso che a un anno e mezzo dallo scoppio della pandemia, alla vigilia del semestre di presidenza della UE, la Francia ha dichiarato di voler proporre un emendamento del protocollo di Schengen. La proposta si basa sull’inserimento di una casistica di situazioni di emergenzialità in cui agli Stati è permesso sospendere i protocolli e chiudere i propri confini nazionali (8). In questo modo, viene creata una normativa condivisa a livello europeo a partire da una misura arbitraria che è già in uso in modo saltuario da anni in diversi Stati europei (in Francia dagli attentati del novembre 2015). Non tocca più al singolo paese giustificare l’applicazione dello stato di emergenza, ma ci sarà una legge europea a garantire questa possibilità. Questo avviene a valle di un’estate e un autunno segnati da due crisi alle frontiere occidentale e orientale dell’Europa. La prima è scoppiata nel maggio 2021 a Ceuta, quando le guardie di frontiera di Rabat hanno smesso di pattugliare il confine, lasciando attraversare diverse centinaia di persone (9). Questo ha portato all’arrivo sulle coste spagnole di un numero compreso tra 8mila e 9mila persone migranti in 48 ore. Si è trattato di un gesto di ripicca del governo marocchino nei confronti dello Stato spagnolo, responsabile di aver accolto il leader della resistenza Saharawi per delle cure mediche. La crisi è rientrata dopo qualche giorno, con l’arrivo degli eserciti spagnolo e marocchino, centinaia di respingimenti forzati, arresti ed espulsioni. A inizio dicembre 2021, una nuova rotta per l’Europa si apre al confine tra Polonia e Bielorussia (10). Il canale è studiato ad arte dal governo bielorussio per mettere pressione sull’Europa, permettendo il passaggio massiccio di persone provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa occidentale attraverso voli charter con visti turistici. Le persone vengono poi accompagnate al confine con la Polonia, dove li aspettano kilometri di foresta, gelo e le violenze della polizia. La dinamica di questi due episodi non è nuova, ma richiama quello che succede alla frontiera tra Grecia e Turchia, dove Erdogan usa da anni ormai le persone migranti come arma di ricatto nei confronti dell’Europa, aprendo le frontiere a seconda delle proprie esigenze e del rapporto di forze che vuole instaurare con gli Stati europei, fatto che si è verificato proprio all’inizio della pandemia, nel Marzo 2020 (11). Un altro elemento accomuna questi tre confini: la presenza di muri e griglie. Al confine tra Grecia e Turchia un muro di 40 km separa i due paesi, implementato da sistemi di videosorveglianza ipertecnologici. La Polonia ha avviato il 25 gennaio la costruzione di una barriera di 180 km, che verrà completato con le più moderne tecnologie di sorveglianza, devastando una delle ultime foreste primarie al mondo (12). Ciliegina sulla torta, verrà costruito dai detenuti di una vicina prigione. Nel frattempo, la frontiera sud dell’Europa si dota di nuove forme di detenzione offshore, seminando nel Mediterraneo navi quarantena, in cui rinchiudere e poi espellere chi riesce a superare questi muri. Il green pass: una misura locale per un cambiamento europeo della gestione della mobilità Cosa c’entra tutto questo con l’introduzione in Italia e in altri paesi d’Europa del green pass o pass sanitario? I fatti possono sembrare scollegati, ma fanno parte, a livello discorsivo e nelle conseguenze pratiche che stanno avendo nella vita della gente, del medesimo processo di ridefinizione delle pratiche di gestione della mobilità degli individui, in un clima di esternalizzazione sempre più spinta delle frontiere. Le conseguenze delle politiche migratorie della UE e dell’introduzione della certificazione verde si stanno rivelando in tutta la loro devastante insensatezza sulle vite e sui corpi di chi viene costantemente rinchiuso all’interno di questo sfaccettato universo concentrazionario. Di questi giorni sono le testimonianze di gruppi di persone che vengono fatte scendere dalle navi quarantena in Sicilia, con provvedimenti di espulsione, e che si ritrovano bloccate in un limbo senza potersi muovere perché sprovviste di green pass (13). Inoltre, dall’introduzione del super pass, non possono prendere né treni né aerei né bus, perché è necessario un certificato di vaccinazione o di guarigione per accedere ai mezzi di trasporto. Si ritrovano quindi con una doppia “irregolarità”, quella dei documenti, che giustifica la loro espulsione, e quella del pass, che ostacola ancora di più i loro movimenti. Decine di persone che si accumulano nelle periferie dell’Europa e che si pretende di “gestire” con misure emergenziali, scaricando la patata bollente alle amministrazioni locali, che nella migliore delle ipotesi costruiranno una tendopoli ipersorvegliata, o un campo conteiner in cui stipare queste centinaia di persone. La situazione è talmente paradossale che la Croce Rossa, che da mesi lucra sulla reclusione delle persone migranti sulle navi quarantena, dove dovrebbe svolgere il lavoro di sorveglianza sanitaria – d’altra parte CR è ben nota per il suo compito di sbirraglia alla frontiera -, ha protestato contro l’aporia creata dall’introduzione del green pass per le persone senza documenti (14). Le persone negative che scendono dalle navi non possono avere il green pass e non sono vaccinate, quindi non hanno diritto a prendere i mezzi di trasporto, e restano bloccate negli hotspot, a volte addirittura cercano di risalire sulle navi senza sapere cosa fare. Allo stesso tempo, le procedure di asilo sono bloccate in diversi paesi d’Europa in modo intermittente dall’inizio della pandemia. Nel 2020 si è registrato il numero più basso di richieste di asilo dal 2013 e il 58% delle domande sono state rifiutate(15). In Svizzera non è attualmente possibile fare domanda di asilo. In Italia, lo scoppio della pandemia è andato ad aggravare la dimensione di emergenzialità resa sistematica dal DL Salvini del 2018: i CAS sono stati i principali focolai di contagio, e il susseguirsi di quarantene forzate ha significato per alcunx la perdita dell’accesso al sistema di regolarizzazione. La stessa istituzione delle navi quarantena ha frammentato ulteriormente i percorsi di accesso al diritto di asilo e implementato l’approccio hotspot. Nel frattempo, l’ultima misura di regolarizzazione “di massa”, la sanatoria dell’estate 2020, ha permesso a un numero infinitesimale di persone di ottenere dei documenti (16). Decine di datori di lavoro hanno potuto costruire un business su questa ridicola misura, vendendo contratti e residenze a diverse migliaia di euro e promettendo documenti a chi voleva ottenerli. Ancora una volta, la legge si dimostra un utile strumento di propaganda per lo stato e di profitto per chi sfrutta, continuando a produrre miseria ed esclusione per lx oppressx. Allargando lo sguardo oltre oceano, il governo assassino degli Stati Uniti si sta servendo delle misure legate al contenimento del COVID per rendere ancora più efficaci e sistematici i respingimenti delle persone alla frontiera con il centro America (17). In Australia, il contenimento del covid-19 ha permesso di sperimentare a livello della società il modello già in uso sulla popolazione migrante, creando dei campi di detenzione per positivi e dei luoghi di detenzione off-shore per le persone in arrivo che dovevano effettuare la quarantena (18). Qualche pista di solidarietà e di lotta Di fronte alla gravità di quello che sta accadendo ovunque in Europa, sentiamo l’esigenza di condividere qualche spunto per dei tentativi di lotta e resistenza contro il green pass e il suo mondo. La cosa più importante, ci sembra, è dare voce alle storie di chi vive sulla propria pelle ogni giorno la violenza del confine, in qualsiasi sua forma ed emanazione, dal green pass alla polizia di frontiera. Fare da cassa di risonanza affinché le testimonianze e le voci di rivolta escano dalle quattro mura in cui le vogliono rinchiudere è uno strumento per distruggere l’isolamento e combattere la repressione. Le carceri per migranti, galleggianti e sulla terra ferma, e i campi di lavoro dove vengono costretti a vivere i lavoratori stagionali sono fonte di lucro per diverse imprese private i cui nomi sono ben conosciuti. Sottolineare le loro responsabilità e rimandare al mittente una minima parte della rabbia che ci provocano è un gesto dovuto. Sostenere chi vede la sua mobilità intralciata ogni giorno di più in un mondo di lasciapassare verdi e documenti passa attraverso la creazione di relazioni e reti di solidarietà che possono permettere di muoversi al di fuori delle maglie di questo sistema, per quanto possibile. Non sottostare al ricatto di questo ennesimo pezzo di carta che serve a provare di avere diritto a superare un confine o prendere un mezzo di trasporto, è uno dei modi di ostacolarne la diffusione e impedire la differenziazione sempre più netta tra chi ha i documenti in regola e chi no. Il mondo chiuso e tracciato che stanno costruendo intorno a noi ci opprime e disgusta, e non vediamo l’ora di distruggere le pareti grige in cui ci vorrebbero rinchiudere. CONTRO TUTTE LE FRONTIERE (1) https://ilrovescio.info/2021/01/30/della-rivolta-nella-ex-caserma-serena-a-treviso-e-della-sua-repressione-non-lasciamo-solo-chi-lotta-per-la-liberta/ (2)https://altreconomia.it/tunisia-rimpatri-accordi-informali/ (3)https://abaslescra.noblogs.org/les-tests-covid-un-nouvel-outil-de-criminalisation-ou-comment-letat-reussit-a-doubler-le-temps-de-retention (4)https://nocprtorino.noblogs.org/post/2020/12/30/aggiornamento-dal-cpr-di-torino-30-11-2020/ https://torino.repubblica.it/cronaca/2021/02/02/news/torino_no_al_tampone_prima_di_salire_in_aereo_cosi_gli_immigrati_clandestini_evitano_il_rimpatrio-285625544/ (5)https://blogs.prio.org/2021/08/contingency-planning-in-the-digital-age-biometric-data-of-afghans-must-be-reconsidered/ (6)https://www.thinkglobalhealth.org/article/border-management-after-covid-19-new-strategies-required (7)http://www.dpceonline.it/index.php/dpceonline/announcement/view/172 (8)https://www.repubblica.it/esteri/2022/01/01/news/rilancio_potere_appartenenza_inizia_il_semestre_francese_di_presidenza_dell_ue-332301698/ (9)https://formiche.net/2021/05/marocco-spagna-crisi-ceuta-migranti/ (10)https://lavampa.noblogs.org/post/2021/12/29/aggiornamenti-dal-confine-fra-polonia-e-biellorussia_nessuna-frontiera/ (11)https://www.ilpost.it/2020/03/02/migranti-turchia-grecia/ (12)https://radioblackout.org/2022/01/un-racconto-dalla-frontiera-polonia-bielorussia-e-aggiornamenti-dai-confini-orientali-europei/ (13)https://www.agi.it/cronaca/news/2022-01-19/covid-migranti-espulsione-ma-prigionieri-italia-perche-senza-green-pass-15290647/ (14)https://www.avvenire.it/attualita/pagine/navi-quarantena-la-croce-rossa-minaccia-di-scendere-illecito-trattenomento (15)https://euaa.europa.eu/news-events/easo-asylum-report-2021-covid-19-exposes-strengths-and-weaknesses-eu-asylum-systems (16)https://www.asgi.it/notizie/la-sanatoria-mancata/ (17)https://www.voanews.com/a/americas_unhcr-end-covid-border-restrictions-blocking-central-american-asylum-seekers/6219234.html (18)https://www.abc.net.au/news/2022-02-03/camps-open-to-address-covid-affected-rough-sleepers/100798900

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