DOPO DUE ANNI DALLE RIVOLTE IN CARCERE

Giorni fa si è tenuta l’udienza preliminare per il processo sulla “mattanza della settimana santa”, la rappresaglia dello Stato nei confronti dei detenuti avvenuta il 6 aprile nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Sono 109 gli imputati tra agenti, ufficiali, funzionari e personale sanitario del carcere per reati tra cui tortura, omicidio colposo, perquisizione personale arbitraria, lesioni; sono circa un centinaio le parti civili costituite. Intanto, a dicembre, la Procura di SMCV aveva chiesto l’archiviazione per i 14 detenuti che la polizia penitenziaria indicò come responsabili della rivolta. Eppure, se fino a qui a qualcunx potrebbe pure sembrare che lo Stato stia facendo giustizia, benchè sempre nei modi suoi, dobbiamo invece guardare al quadro d’insieme.

A SMCV lo Stato ha interpretato la messinscenza del processo esemplare alle cosiddette “mele marce” (che comunque poche non sono ! ). Non fosse che contemporaneamente, però, ha messo a tacere la più grande strage di Stato nelle carceri dal dopoguerra, nonché la morte, avvenuta tra le mura di quello stesso carcere, di Hakine Lamine. Quest’ultima seguì proprio alle torture delle del 6 aprile: lui era tra i 14 detenuti detenuti indagati per la rivolta ed era stato messo in cella di isolamento a scopi punitivi, la stessa nella quale morirà un mese dopo. Il Tribunale del riesame ha appena riconfermato che la sua morte non fu cagionata dalle torture delle guardie imputate nel maxi-processo, riavvalorando così la versione ufficiale del “suicidio”. In merito alla strage del marzo 2020 morirono in tutto 14 persone detenute durante le rivolte, di cui 9 nel carcere di Modena e durante i trasferimenti da esso. A giugno 2021, tutte le indagini per queste morti vengono archiviate, sulla base di sommarie autopsie che decretano la causa di tutte le morti nell’overdose di metadone. L’unica inchiesta a restare ancora aperta è quella per la morte di Sasà Piscitelli nel carcere di Ascoli Piceno.

Solo da pochi giorni, è stata resa nota un’altra inchiesta della Procura di Modena, avviata solo in seguito all’esposto e alle testimonianze dirette di alcuni detenuti, nella quale sono indagati diversi agenti penitenziari, per le torture e lesioni inferte in quelle giornate. Mentre sul fronte opposto, diverse decine di persone che erano detenute in quel carcere sono indagate per i reati, tra gli altri, di devastazione e saccheggio.

Ci sembra molto chiaro che per lo Stato, il processo di SMCV e in generale le inchieste con cui è disposto a “sacrificare” alcuni dei suoi uomini (le solite “mele marce”, appunto) rappresentano solo la contropartita alla veloce archiviazione di una strage di Stato da parte di procure e tribunali, avvenuta nella più totale omertà istituzionale e alternata a una gogna mediatica che spesso dipinge i detenuti che muoiono “suicidati” in una cella come “tossici” all’assalto dell’infermeria o “schizofrenici”. Migliaia di persone detenute furono torturate in quei giorni e in tutt’Italia da ogni tipo di divisa possibile (penitenziaria, polizia, carabinieri, Gom, reparti speciali, digos…) e da un personale sanitario complice con chi ha represso e punito quelle rivolte, la più umana e giusta reazione immaginabile di chi si trova recluso in una gabbia. È per questo che diverse centinaia di quelle persone detenute vengono oggi indagate e imputate davanti ai tribunali di ogni parte d’Italia per reati che prevedono pene altissime e che, sommati alla propria condizione detentiva, possono sancire, in caso di eventuale condanna, un “fine pena mai”.

A due anni dall’inizio dell’emergenza pandemica e dallo scoppiare di quelle rivolte, la situazione nelle galere è ritornata (o rimasta) la stessa, se non addirittura deteriorata: la sanità nelle carceri va peggiorando e in molte di esse diminuisce la presenza dei medici negli istituti, mentre aumentano le assunzioni per le guardie e le misure per la sorveglianza, nessuna millantata riforma della giustizia per lo svuotamento delle carceri, nessun impulso alle misure alternative al carcere, il sovraffollamento aumenta (solo a Poggioreale, ci sono 2.229 persone detenute su una capienza di 1.571), continuano a mancare i dispositivi di prevenzione del contagio (es. mascherine) per i detenuti che li richiedano, il cibo è sempre scadente, continuano gli abusi nel somministrare psicofarmaci, le condizioni igienico-sanitarie restano pessime, aumentano progetti di sfruttamento del lavoro delle persone detenute. Per coloro che scelgono di non vaccinarsi si allunga il periodo di isolamento dal resto della sezione, è precluso (almeno in certe carceri) di fare il lavorante e vi sono restrizioni ai colloqui visivi, per i quali oltretutto i familiari esterni sono tenuti oggi a esibire il Green pass (dovendosi quindi pagare tutte le volte un tampone se non vaccinati). Ciononostante, il plexiglass per i colloqui visivi è rimasto, il che costituisce una restrizione importante nella vita di chi è detenutx. Chi, invece, vorrebbe completare le dosi di vaccinazione subisce ritardi.

Laddove c’è uno Stato e le sue gabbie, non potrà mai esserci libertà.

CONTRO LO STATO CHE TORTURA E UCCIDE

SOLIDALI CON CHI SI RIBELLA

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