CRITICA FEMMINISTA ALLA MEDICINA E SCIENZA POSITIVISTA IN TEMPI DI PANDEMIA

                                   
CRITICA FEMMINISTA ALLA MEDICINA E SCIENZA POSITIVISTA IN TEMPI DI PANDEMIA
        
A partire da una discussione sull’imposizione del green pass tra compagn* antiautoritari* donne, lesbiche, persone non binarie, siamo giunte inevitabilmente ad affrontare il rapporto tra i nostri corpi e la scienza positivista, di cui la medicina è uno dei principali prodotti, ritornato sempre più invasivo durante la gestione statale della pandemia. Il metodo che abbiamo seguito è quello di un confronto che incroci le proprie esperienze personali con le tensioni individuali che ciascunx mette nell immaginare un mondo diverso, nel quale corpi e soggettività non conformi possano convivere in relazioni di cura reciproca. Un incrocio che nella società in cui viviamo, anche a partire dal riconoscimento delle nostre situazioni di privilegio di cui finiamo per avvantaggiarci, riconosciamo spesso lastricato di contraddizioni: pur consapevoli di ciò, oggi ancor di più, di fronte alle misure emergenziali della pandemia, sentiamo l’urgenza di posizionarci a partire da una critica radicale alla scienza positivista e alla medicina. 
        
L’auspicio è che il ravvivare discussioni su questi temi, in queste nubi di rassegnazione e sperdutezza che circondano questi tempi, riaccenda la lotta avendo più chiari nemici e alleat*.
        
Il ponte dal green pass alla medicina
        
È oramai chiaro che il green pass è il nuovo strumento di controllo e ricatto che segna una linea netta tra integrati ed esclusi dalla vita economica e sociale ufficiale. Infatti, è da subito risultata chiara a tuttx la natura economica di questo ricatto con riferimento all’obbligatorietà del green pass sul posto di lavoro: se non ce l’hai non puoi lavorare; se opti per i tamponi perché non ti vuoi vaccinare, una parte del tuo stipendio è spesa in quello. Questo significa prendere la gente per fame. Ma di questo ricatto, come non bastasse, non è tralasciabile nemmeno la natura sociale di più ampia portata, con riferimento alla fruibilità dei mezzi di spostamento per le lunghe percorrenze e agli spazi della socialità. Proprio rispetto a questi ultimi, è amaro realizzare che tra i primi ad adattarsi all’obbligo di richiedere il green pass all’ingresso, spesso senza troppo questionarne pubblicamente le implicazioni, siano stati spazi di movimento che si proclamano antiautoritari o libertari. 
        
Nel corso delle diverse discussioni sin qui avute tra noi, abbiamo tentato di scindere le considerazioni sul green pass, come strumento di controllo statale e pressione sociale che scarica ogni responsabilità sux singolx individux, da quelle sul vaccino, prodotto di medicina e tecnologia la cui assunzione o meno è in linea teorica demandata alla libera scelta individuale. Tuttavia, se siamo giunt* inevitabilmente a discutere del nostro posizionamento, da femministe, rispetto alla scienza medica, ciò è dovuto al legame imprescindibile voluto e creato dallo Stato tra green pass come chiave d’accesso alla società e vaccinazione e alla contestuale propaganda di fede nella scienza legata a questi ultimi. Questa situazione ci appare perfettamente coerente con un sistema capitalista che è causa del virus e produttore del suo rimedio: si esime da ogni responsabilità su questa pandemia e sugli effetti della vaccinazione sperimentale di massa, riversandola in toto su quei singolx individux che scelgono di autodeterminarsi nella scelta di (non) vaccinarsi. 
        
Abbiamo deciso di non entrare, anche per mancanza di competenze sul tema, nel merito di questioni specifiche sulle tecnologie sperimentali di questi nuovi prodotti della scienza o sulle loro possibili conseguenze. Pur consapevoli, tuttavia, che esiste ed è comunque centrale il tema degli effetti che certe sperimentazioni o applicazioni scientifiche possono produrre sui corpi che le subiscono e sull’ambiente circostante e di come tali strumenti potrebbero essere riutilizzati per fini diversi da quelli attuali.  
        
Durante la discussione sono poi emersi diversi interrogativi. Anche se alcuni sono rimasti in sospeso e altri non hanno ricevuto una risposta univoca che possiamo sintetizzare qui, pensiamo possa essere comunque utile riportarli per restituire una complessità del presente che pensiamo esista. Abbiamo voluto riconoscerla e mantenerla, contrariamente a chi, avallando il gioco dello Stato oppure per bieca ideologia, ci sembra ridurre questa complessità a una semplicistica alternativa binaria: “pro-vax” contro “no-vax”. Possiamo in certe circostanze intendere quella di autodeterminarci sulla scelta vaccinale o sulle cure mediche come una possibilità connessa a un privilegio abilista o di classe, cioè legato al proprio stato di salute o alle concrete possibilità di accesso a strutture sanitarie o della qualità delle cure su un dato territorio o della possibilità di accedere a cure e stili di vita alternativi? Quali pratiche femministe è possibile recuperare per affrontare la pandemia e quali per una lotta contro gli strumenti del potere? Chi paga il prezzo delle sperimentazioni di medicina e tecnologia su animali e persone? Una critica radicale alla scienza positivista e alla medicina può esserci preclusa per il solo fatto di averne usufruito e tratto talvolta beneficio o sollievo nella nostra vita? 
        
Quelli che riportiamo di seguito non sono che alcuni spunti di ragionamento sparsi, da dentro e su una realtà estremamente intricata nella quale ci muoviamo, a partire da una prospettiva antipatriarcale e non binaria. 
        
Medicina patriarcale e corpi ribelli
        
La  storia della nostra sfiducia al sistema medico-scientifico comincia con la nascita stessa della medicina e della scienza positivista, poichè è tra le classi privilegiate e nel patriarcato che affonda le sue origini: per ciò non può che esser nemica di chi è oppress*. Dalla caccia alle streghe alle origini del potere ginecologico sui corpi delle donne per il controllo della sessualità e della riproduzione, il monopolio medico occidentale con cui ancora oggi ci troviamo a fare i conti è anche il risultato della depredazione della conoscenza dei propri corpi e del furto dei saperi di cura delle donne, in particolare provenienti dalle classi più povere. Il controllo e la gestione dei corpi è sempre stata una prerogativa per la preservazione del potere egemonico, prima dalla chiesa, poi dalla borghesia capitalista, poi dagli Stati e poi dai potenti del mercato globalizzato: dalla matrice religiosa a quella medico-scientifica (spesso rivali e talvolta alleati) un tratto comune di questa prerogativa è senz’altro il potere patriarcale. Sempre di più nel mondo globalizzato, il controllo della popolazione diventa un presupposto imprescindibile per il capitalismo: la mobilità mondiale è controllata dal sistema frontiere, così come la riproduzione attraverso campagne e sperimentazioni di massa che passano dal sistema medico. Ieri come oggi, un’attribuzione conformata e binaria dei ruoli di genere continua a essere funzionale al controllo capitalistico della  popolazione in rapporto alle risorse.
        
Infatti, la necessità del capitalismo di instaurare un proprio sistema di  controllo dei corpi attraverso la scienza e la medicina è un’altra faccia della medaglia di quell’oppressione patriarcale che vorrebbe far rientrare nel binarismo corpi, identità, soggettività, sessualità non conformi: corpo sano/corpo malato così come uomo/donna madre. Ci viene quasi automatico infatti il parallelismo nei rapporti tra autorità medica e paziente e tra patriarcato e soggettività non conformi: al centro del parallelismo c’è il nostro corpo. Non dimentichiamo che espressione del potere medico è anche stigmatizzare, stabilendo, su presupposti di fede scientifica,  cosa è sano e cosa è malato. A riconferma di ciò, basti ricordare che le persone omosessuali fino a poco tempo fa e le persone trans tutt’ora, venivano e  vengono considerate patologiche dalla medicina a livello ufficiale (vedi “disforia di genere”) e che in ragione di ciò i propri corpi e identità vengono ancora oggi sottoposte a processi medicalizzanti. 
        
Storicamente, le lotte femministe per la liberazione delle donne hanno riconosciuto nel sistema capitalistico medico e tecnologico un nemico, in quanto fautore dell’oppressione eteropatriarcale. La lotta delle Rote Zora, spesso citata negli ultimi tempi, ha incluso molteplici attacchi all’ingegneria genetica e al potere medico, sempre a partire dal più ampio obiettivo di distruggere un sistema di potere patriarcale a ogni livello: 
“le Rota Zora partecipano in maniera attiva dal 1982 con svariati attacchi esplosibi e incendiari al movimento delle donne contro le ecnologie genetiche e riproduttive e contro la politica demografica. Questo movimento critica in chiave femminista il rogresso scientifico attorno alla genetica umana e alle biotecnologie” (Rote Zora guerriglia urbana femminista, pag.98).
In questa come in diverse altre esperienze di lotta antipatriarcale contro il sistema medico, parallelamente all’attacco agli strumenti di oppressione in mano al potere, vi erano anche percorsi di riappropriazione delle pratiche di autocura e di autoconoscenza del proprio corpo. Cioè, di quelle stesse pratiche messe al bando da una scienza medica che, quando si spaccia per preventiva o per curativa che sia, propina a tutta la popolazione indiscriminatamente la medesima terapia, a prescindere dalle differenti soggettività cui è indirizzata, in modo oggettivo e oggettivizzante, ponendosi come obiettivo la sparizione rapida dei sintomi per affermare il ritorno di un corpo (apparentemente) sano e produttivo. Tutt’ora, nel tentare di abbattere quella medicina oggettiva e oggettivizzante di tutti i corpi imposta dalla religione della scienza, emerge l’urgenza di creare relazioni di cura e recuperare saperi che sappiano invece rispettare le diverse soggettività con le loro differenti esigenze. 
        
        
Individux  contro il paternalismo
        
Crediamo nell’importanza di poter liberamente affermare le nostre fragilità,  quando e come riteniamo, crediamo  che non sia sindacabile la nostra decisione e che sia doverosa una cura e un rispetto di quelle altrui. Il paternalismo è da sempre nemico di tutto questo approccio alla vita.
Dall’inizio della pandemia, la retorica propagandistica sulla tutela delle <persone fragili> è stata centrale nel far leva sulla ricerca di consenso di misure quali lockdown e vaccinazione. Lo stato ha messo in atto, in maniera strumentale, un atteggiamento paternalista e infantilizzante nei confronti della popolazione: in particolar modo si è parlato in nome e per bocca delle persone considerate         fragili sulla base dell’età o dell’esistenza di patologie pregresse, oggettivizzando sia la loro condizione di “fragilità” sia ciò che rappresentava la tutela della loro salute, senza che ci fosse spazio per una loro presa di parola, per la loro  autodeterminazione. Così come accaduto in questo caso, in altre situazioni e contesti la condizione di “fragile” è stata associata alle donne, puntando a giustificare così una serie di strumenti paternalisti di tutela che hanno l’effetto di delegittimare ogni scelta individuale diversa di autodifesa.        
La salvezza della mera vita biologica è stata quindi posta a priorità assoluta nell’interminabile emergenza, producendo una condizione di terrore, nella quale non c’era e tutt’ora non c’è spazio per priorità valoriali diverse da una sopravvivenza in stato di isolamento, per l’autogestione della propria salute, per la messa a critica e ricerca di altre soluzioni e vie possibili per se stess*. Il controllo, la coercizione e l’isolamento ci vengono ripetutamente presentate come uniche strategie di salvezza. 
        
Crediamo che a nessuno può spettare un giudizio di valore alcuno, né in un verso né nel suo opposto, sulle scelte individuali, peraltro così profonde e spesso difficili, rispetto alla relazione di ciascun* con la malattia e con la morte. Non può spettare a nessuno se non a sè stess*. Perciò, tantomeno crediamo che questo possa spettare a una scienza nemica che si pretende egemonica. 
Lo stesso ragionamento lo applichiamo rispetto alla scelta individuale di ciascunx di vaccinarsi o meno, così come di servirsi della medicina o meno, poiché ciò per cui lottiamo è proprio il contrario, cioè la nostra autodeterminazione, pur sempre dentro la società capitalista nella quale siamo immers* fino al collo insieme alle nostre contraddizioni. E molto spesso esistono sistemi diffusi di oppressione verso i quali è quantomeno più urgente difendersi (razzista, sessista, transfobico, classista, ecc..). Quello che però ci pare evidente è la realtà allarmante di come l’imposizione ricattatoria del vaccino e lo stigma sociale nei confronti di chi sceglie di non vaccinarsi ricalchino le stesse modalità ben note a cui la scienza medica da sempre ci sottopone, più o meno a seconda dei periodi, togliendo sempre più spazio alla libertà di scelta sui propri corpi. 
Conclusioni
Le lotte femministe del passato al grido de “Il corpo è mio e decido io” e “Stato e chiesa fuori dalle mutande” ci parlano ancor più forte nell’oggi e non crediamo che di fronte a una pandemia questi slogan perdano di senso. Al contrario, dovremmo recuperarli e farli ancor più nostri ora, affinchè le lotte che tante e tant* hanno  portato avanti per la liberazione e l’autodeterminazione dei nostri corpi non siano state vane. Crediamo che soggettività e corpi non conformi non possano che essere alleat* in questo, al di là di ogni scelta individuale o necessità da cui è mossa, e organizzarsi per difendere la libertà di decidere per i nostri corpi. Convinte che se ciò non avverrà, il capitalismo ci avrà schiacciate una volta di più.
Contro la medicina capitalista e patriarcale
Per l’autogestione dei nostri corpi
positiva ma non positivista
*questo testo è stato elaborato e scritto, prima della previsione del super greenpass, ecco perchè non viene nominato.  Non vuole in ogni caso essere un testo esaustivo sull’argomento, ma la trascrizione di una parte della discussione che è ancora in corso e da cui speriamo emergeranno altri contributi. Sono benvenute critiche e commenti.
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